Parroci, l’editoriale. L’obbedienza è di tutti
di Roberto Olivato
Lo scalpore creato dalle rimostranze dei parrocchiani della chiesa di San Simone all’Ardenza, tutti uniti nel cercare d’impedire il trasferimento di don Carlo Certosino dalla loro parrocchia a quella di S. Caterina nel quartiere della Venezia, è in qualche modo giustificabile (caos parroci – leggi qui l’intervista al vescovo). Di manifestazioni analoghe se ne sono già viste in altre circostante in occasione di trasferimenti di parroci, quindi non dovrebbe stupire più di tanto una simile reazione, anzi essa rappresenterebbe una testimonianza di affetto verso il sacerdote che per anni ha vissuto in una comunità accompagnandola nella crescita spirituale fra i venti della crisi famigliare, di quella del lavoro e di tanti casi personali che il parroco, padre di quella comunità, individualmente ben conosce e cerca di aiutare tenendo ben stretto fra le mani il Vangelo, che per i cristiani rappresenta l’unica fonte di speranza. Non siamo noi laici a dover dire cosa deve e non deve fare un sacerdote, ce ne guardiamo bene, ma guidati dal buon senso pensiamo di poter permetterci qualche considerazione. Il sacerdozio dovrebbe essere una vocazione e pertanto, scevra da ogni comune remora umana, richiederebbe a chi lo intraprende di essere pronto a mettersi a disposizione della comunità senza se e senza ma. Per agevolare questa scelta di vita, il diritto canonico ha posto fra le sue linee guida quella dell’ubbidienza e tale scelta viene ribadita nel giorno dell’ordinazione presbiterale da parte del vescovo e che riportiamo per dovere di obbiettività: «Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza?». L’eletto al presbiterato risponde: «Sì, lo prometto». Questa promessa di obbedienza è verso il bene della diocesi e non tanto della propria parrocchia, che della diocesi ne fa parte. Ma il Diritto Canonico nel Titolo I riguardante ” gli obblighi ed i diritti di tutti i fedeli”, riguardo all’obbedienza si rivolge anche a noi fedeli: Can. 212 – §1.” I fedeli, consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa”.
Quindi se i parrocchiani di S.Simone come di qualsiasi altra parrocchia si sentono veri fedeli, devono attenersi a quanto la Chiesa prevede nel bene dell’intera comunità, indipendentemente dal nome o dalla figura di questo o quel sacerdote al quale ognuno di noi dovrà sempre essere fedele per quello che egli rappresenta e non per quello che è. Sempre che quelle rimostranze non siano frutto di un incomprensibile puntiglio campanilistico, chi impedisce ai parrocchiani di S.Simone di andare quando vogliono a trovare il loro ex parroco a S.Caterina e viceversa?
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