Lemmi, altro salto record: “Ma non voglio fermarmi”
di Gabriele Pritoni
Andrea Lemmi è un campione. Non solo e non tanto per la sfilza di titoli conquistati in più di dieci anni di carriera, quanto per la costanza, la grinta e la passione che continua a mettere nella sua specialità e che, abbinate a un talento cristallino, gli hanno permesso domenica scorsa di battere il suo personale, alzando l’asticella da 2,25m a 2,26m. L’eccezionalità del gesto, più che nel valore assoluto della misura o nel fondamentale centimetro guadagnato, sta nel fatto che tra i due record sono passati dodici anni. Tanto ci è voluto, dopo il brutto infortunio al tendine rotuleo, per ricostruire completamente l’atleta delle Fiamme Gialle, nelle cui vene scorre puro sangue bianco verde.
Lo abbiamo intervistato all’indomani dell’impresa, compiuta nell’impianto indoor di Lucca domenica scorsa.
Andrea, raccontaci di questo salto
“Domenica ho raggiunto un obiettivo cui puntavo da anni; direi anzi che il salto di domenica è proprio il frutto del lavoro degli anni passati. E’ stata una grandissima emozione”.
Hai una dedica particolare?
“Nell’immediato ho dedicato il salto al mio babbo, che mi è sempre stato vicino e mi ha supportato seguendomi nelle gare e pure nella logistica, portandomi fisicamente agli allenamenti specie in quest’ultimo periodo a Lucca, a Livorno manca una pedana indoor. L’ho anche assalito subito dopo per festeggiare (ride)! A mente fredda, la dedica va a tutti quelli che mi sono stati vicino negli anni e alla mia città, dove mi sono sempre allenato e che mi ha sempre sostenuto; alle Fiamme Gialle, ai tecnici dell’Atletica Livorno e, ovviamente, a Vittoriano”.
Quanto è stato importante Vittoriano Drovandi?
“Quello con Vittoriano è stato l’incontro epocale, quello che mi ha impedito di lasciare lo sport. Vittoriano mi ha ricostruito da zero dopo l’operazione, subita perché mi ero allenato male e avevo stressato troppo il fisico. Ero senza cultura atletica, senza una precisa disciplina negli allenamenti; è grazie a lui se sono arrivato fin qui e ho ancora voglia di saltare”.
Se ripensi al fatto che a 19 anni hai saltato 2,25m, prevale il rimpianto per aver subito l’infortunio o la soddisfazione per la carriera che comunque hai fatto e stai facendo?
“Rimpianti non ne ho, certo l’infortunio sarebbe stato meglio non subirlo ma è solo dopo che sono diventato un atleta completo. Col passare degli anni il mio approccio è progressivamente cambiato: da giovanissimo ero impulsivo, alla ricerca della prestazione, ma non mi allenavo bene. Ora sono più regolare, psicologicamente più forte e maturo; ovviamente la prestazione pura è calata ma nel complesso sono più competitivo di prima”.
Quanto ti alleni?
“Normalmente una volta al giorno, raramente faccio i “raddoppi” mentre anni fa capitava più spesso. Ora lavoro più sulla qualità che sui carichi, che comunque non mancano! Da un po’ di tempo la fisioterapia, da Claudio Nencioni che ringrazio, è un appuntamento fisso, a 30 anni ci vuole più attenzione”.
Come si riesce a rimanere appassionati per tanti anni a una disciplina in cui il gesto atletico è sempre il solito?
“Il gesto in gara è sempre quello ma gli allenamenti sono molto vari perché mirano a migliorare questo o quel dettaglio del salto. In settimana non ci si annoia e poi, in gara, l’adrenalina scatenata da quel gesto, che cerchi sempre di rendere perfetto, è impagabile. Insomma, dopo tanti anni, l’atletica non mi è ancora venuta a noia”!
Quanto è importante il fattore psicologico?
“E’ fondamentale, nell’atletica ma a maggior ragione nel salto in alto. In gara sono molto importanti l’approccio, la scelta delle misure, il non sbagliare i primi salti. Un grazie lo devo anche a Claudio Cresti, uno psicologo dello sport che mi ha molto aiutato. Il fattore psicologico è quello che ti fa battere avversari che si presentano con accrediti molto migliori del tuo, oppure che ti fa perdere da atleti meno forti sulla carta. A me sono successe entrambe le cose. Anche la concentrazione è basilare, è la cosa che mi ha fermato domenica dopo il 2,26. A gara vinta, dopo il personale la concentrazione era andata e a quel punto è meglio togliersi le scarpette e pensare alla gara successiva”.
Che aspettative hai per questa stagione? E per il futuro?
“Ho un obiettivo che ti svelerò a fine stagione e che non dico per scaramanzia ma in generale sento meno pressione di un tempo e miro a divertirmi; le premesse per una buona annata ci sono, visto che ho fatto il personale in pieno inverno. In futuro mi piacerebbe rimanere nell’ambiente, seguo già qualche giovane saltatore bianco verde ma vorrei prendere i brevetti e magari diventare allenatore. Per ora, comunque, la priorità è ancora l’attività agonistica”.
Non chiediamo a Andrea, “Bugo” per gli amici, per quanto abbia ancora intenzione di saltare perché risponderebbe sicuramente, ridendo, che non smetterebbe mai.
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