Al Mascagni la “voce” di un violino della Shoah

Nel pomeriggio di lunedì 2 febbraio, alle 18,30, nell’Auditorium del Mascagni si terrà uno straordinario concerto promosso dall’Istituto con la collaborazione della Comunità Ebraica Livornese, quando la violinista Anna Maria Fornasier, docente del Mascagni, darà voce a un “violino della shoah”, strumento che ha suonato ad Auschwitz e torna a farsi ascoltare dopo un silenzio lungo decenni.
Fornasier, accompagnata dal pianista Daniel Rivera, anche lui prestigioso docente del Mascagni, eseguirà pagine ispirate alla cultura ebraica: Kaddish, di Maurice Ravel, canzone composta nel 1914 su un testo aramaico del Libro di Preghiere degli ebrei;Kol Nidrei, serie di variazioni su melodie ebraiche, risalenti al VII e all’VIII secolo, che Max Bruch compose nel 1014; e infineHebräische Melodie, del 1911, del russo Joseph Achron. L’iniziativa di Giulio Cesare Ricci, presidente uscente del Mascagni, ha trovato la piena e immediata adesione della Comunità Ebraica Livornese.
Era a Cremona, Ricci, invitato nell’occasione in cui il violino, perfettamente restaurato, è stato presentato al pubblico per essere poi suonato nella ricorrenza della giornata della memoria, il 27 gennaio. “Ho subito pensato che questo strumento doveva suonare anche a Livorno” dice Ricci, “La nostra Comunità era una delle più ricche d’Europa e ha pagato un pesante tributo di vite alla barbarie delle leggi razziali e della follia di sterminio nazi-fascista”. L’ha recuperato fortunosamente in una bottega antiquaria di Torino l’ing. Carlo Alberto Carutti – 91 anni segnati da un’inestinguibile energia vitale – imprenditore milanese, mecenate e collezionista, che ha recentemente affidato in comodato gratuito al Museo Civico di Cremona la sua prestigiosa collezione di oltre 60 antichi strumenti a pizzico. Sarà lo stesso Carlo Alberto Carutti che porterà a Livorno il Violino della Shoah. L’ingegnere, ospite della Comunità Ebraica cittadina, affiderà ad Anna Maria Fornasier il prezioso strumento per poi riprenderlo in consegna alla fine del concerto e dando, con la sua presenza, un rilievo particolare all’evento. Anche la famiglia Carutti, infatti, porta il segno della tragedia che sconvolse il secolo passato, quando il padre di Carlo Alberto dovette trovare rifugio in Russia.
Da tempo l’ingegnere cercava uno strumento che fosse testimone dell’Olocausto; e di questo violino “sopravvissuto” è riuscito anche a ricostruire la vicenda, una storia terribile e bellissima, che testimonia dell’amore fraterno tra due giovani, più forte dell’orrore del lager, suggellato dalla comune passione per la musica.
Due giovani ebrei Maria e Renzo – lei 22 anni, il fratello 21 – furono sorpresi dai tedeschi prima che potessero passare il confine con la Svizzera dove speravano di rifugiarsi. Catturati, furono condotti a Milano, poi a Verona, e da lì deportati ad Auschwitz. Maria aveva con sé il suo violino. È probabile che la ragazza lo avesse poi consegnato al fratello pensando che un uomo avesse qualche probabilità in più di salvare se stesso e lo strumento.
Così fu. E mentre Maria soccombeva con altri milioni d’infelici nell’inferno del campo, Renzo fu liberato dall’Armata Rossa. Morì, ancora giovane, nel ’57 e da allora del violino si perdono le tracce fino alla sua ricomparsa nella bottega antiquaria torinese.
Questo strumento straordinario – “spettacoloso”, testimonia Carlo Alberto Carutti, “fabbricato nel 1800 da un liutaio francese” – appare come ogni altro violino, davanti. Ma, girandolo, mostra una stella di David finemente intarsiata nel legno del fondo della cassa armonica. All’interno della cassa, sul fondo, si sono trovati uno scritto in tedesco, “Inno alla musica che rende liberi”, e un rigo di musica, probabilmente una ninna nanna, forse scritta dalla stessa Maria per il fratello. Rimasto silenzioso per decenni, il Violino della Shoah – di Maria e di Renzo – torna a far sentire la sua voce a Livorno, a testimoniare l’atrocità della pagina più buia della storia dell’uomo ma anche a suggellare la speranza della rinascita.

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