La storia di Vitulano nel libro “Il buco nella rete”
Da Matthias Sindelar, il fuoriclasse della magica Austria (Wunderteam) degli anni venti, a Miguel Andreolo, l’uruguaiano di origini italiane che giocò nel Bologna vincente del presidente Dallara e da allenatore, si trasferì in Lucania; da Moacir Barbosa, il più grande e sfortunato portiere della nazionale brasiliana, a Mané Garrincha, il migliore dribblatore di tutti i tempi; da Eduard Streltsov, il fuoriclasse finito nel gulag, a Manlio Scopigno, il filosofo che allenò il Cagliari di Gigi Riva e portò in Sardegna lo scudetto; da Carlos Humberto Caszely, il bomber cileno che rifiutò di dare la mano a Pinochet, a Lollò Cartisano, “la freccia del Sud” che doveva andare alla Juventus ma fece tornò nella sua Calabria dove venne ammazzato dalla ‘ndrangheta; dall’irregolare talentuoso Ezio Vendrame (l’amico del poeta livornese Piero Ciampi) e Rogiero Ceni, il portiere brasiliano goleador. Sono alcune storie di calciatori, allenatori e “forze basse” (come le chiamava il capitano del Napoli Totonno Juliano) raccolte dal giornalista del Quotidiano della Basilicata Mimmo Mastrangelo. nel volume “Il buco nella rete” (Valentina Porfidio Editore). Uno dei ritratti più belli e sentiti è sicuramente quello del compianto ed amato bomber del Livorno, Miguel Vitulano. Mastrangelo ricorda “il grande Miguel” di quando, a metà degli anni settanta, giocò a Salerno e andò abitare con la famiglia vicino casa sua. L’attaccante, nato in Argentina, fece sognare le tifoserie della Salernitana e del Livorno e firmò alcuni gol da favola che nessuno più ha dimenticato (su tutte quello realizzato in un Pisa Livorno della stagione 1978-79), ma la sua rete capolavoro la realizzò nella vita per la bella persona che fu. Sono narrazioni di un calcio-altro separato dal calcio attuale spettacolarizzato dalle televisioni, malato di corruzione, stritolato dall’arroganza dei procuratori, ridicolizzato dalla banalità degli stessi diretti protagonisti e da cronisti-tifosi che vivono con ossessione la materia trattata. Le narrazioni di Mimmo Mastrangelo seguono una traiettoria che esalta sì il talento pedatorio, ma intercetta la memoria, la storia, il costume, la poesia (Pablo Neruda), l’aneddotica (l’aneddoto è tra i registri più suggestivi per raccontare il calcio), la letteratura di Soriano, Galeano, Camus, Pasolini, il giornalismo eclettico di Brera, Arpino, Pastorin. Nei racconti di Mimmo Mastrangelo l’altro calcio altro è “metafora della vita”, passione per una disciplina che non è fatta da sole pedate, è il gusto per delle storie che assumono tratti epici e venature romantiche, è la celebrazione dell’intelligenza riversata tra i piedi, è un inchino alla grazia di un dribbling avulso da noiosi schematismi, è un sentimento di affetto per tutti quei giocatori che hanno saputo giocare stupendamente la partita della vita.
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