Al Grattacielo ecco “Chi porterà queste parole?”

In occasione della Giornata della memoria torna in scena lo spettacolo “Chi porterà queste parole?” di Charlotte Delbo, con l’allestimento finale dopo due anni di lavoro.
Domenica 7 febbraio, alle ore 18 al Teatro Il Grattacielo di Livorno, 23 donne della compagnia Effetto Collaterale daranno voce al testo teatrale, mai tradotto in Italia, scritto da Charlotte Delbo, drammaturga e partigiana francese deportata ad Auschwitz nel 1943.

Lo spettacolo, nato dal progetto “Germogli di memoria”, racconta il dramma ma anche la capacità di resistere di un gruppo di prigioniere politiche che, insieme a Charlotte Delbo, hanno vissuto l’orrore di Auschwitz-Birkenau. La regia e l’allestimento sono diFrancesca Talozzi e Alessia Cespuglio, le luci di Elisabetta Albanese, la traduzione del testo di Federica Quirici.

In scena saranno: Federica Armillotta, Luisa Bianchi, Nara Biagiotti, Alessia Cespuglio, Simonetta Filippi, Giovanna Gorelli, Rina Giuffrida, Tea Gradassi, Odila Mibelli, Veronica Socci, Sandra Mazzinghi, Stefania D’Echabur, Giulia Salutini, Irene Spano, Clara Rota, Nives Timpani, Maria Teresa Volpi, Flaviana Deserti, Samanta Mela, Lisa Polese, Roberta Gattabrusi, Claudia Pavoletti, Fiamma Lolli.

Dato alle stampe a Parigi nel 1967 con la trilogia “Auschwitz e dopo”, il testo “Chi porterà queste parole?” è l’unica opera teatrale dedicata all’esperienza concentrazioniaria femminile. Charlotte Delbo la scrisse una volta tornata dalla Polonia con il chiaro intento di trasmettere la memoria di quello che accadde, di raccontare la vita e il coraggio di tante compagne di prigionia che purtroppo non fecero mai ritorno.

“Chi porterà queste parole?” è un’opera in tre atti per 23 personaggi femminili, estremamente lucida, densa di parole e di una narrazione che mescola più piani temporali. La struttura riprende quella della tragedia antica, dove il senso del coro e della coralità viene ribaltato in monologhi che interpungono l’azione scenica, reinterpretando il corpo scenico come un unicum che vive della stessa sua voce e di una parola unica.

Donne, partigiane, comuniste vedono tutto, vivono tutto, sentono tutto ciò che accade in giornate ‘simbolo’ di Auschwitz: gli appelli interminabili, il freddo intenso, la fame, la sete, l’infinita stanchezza, le selezioni, le marce, le camera a gas, le morti delle compagne.

La loro forza e la loro consapevolezza politica le porta a non giudicare mai e a voler ricordare tutto: i nomi, i volti, le storie confidando ognuna nella resistenza dell’altra “affinché una ritorni per dire”.

L’allestimento vede una scena vuota poiché il ‘campo’ è inimmaginabile per chi non c’è stato e dunque impossibile trovare un segno scenico che lo possa esprimere, eccetto il vuoto e il silenzio.

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