In pensione un pezzo di storia dell’ospedale. Intervista. “150 giorni di arretrati? Non me ne pento”

Lascia dopo 41 anni di lavoro il dottor Francesco Genovesi: "Vorrei proseguire nel mondo del volontariato, magari con un incarico umanitario. L'organizzazione e la professionalità di chi opera nel 118 dovrebbe essere da esempio per molte categorie di lavoratori"

di msarti

“Pronto, buongiorno. Potrei parlare con il dottor Genovesi?”. “Glielo passo subito”, risponde la moglie, professione anestesista, dall’altra parte della cornetta. “Buongiorno a lei, eccoci qua”.
Inizia così il colloquio con un pezzo di storia dell’ospedale di Livorno, Francesco Genovesi, 65 anni il 6 gennaio, di cui 41 passati con il camice, attuale direttore del dipartimento emergenza e urgenza. Il 31 gennaio 2014 andrà in pensione con qualcosa come 150 giorni di ferie (“non so se sia un record ma non ne pento assolutamente”) e un futuro ancora tutto da decidere (gli buttiamo lì se per caso gli passi per la testa un ruolo in politica visto che gli ultimi due, attuale e precedente, politici più illustri di Livorno provengono  dalla sanità. Risposta: “Io in politica? No no, non scherziamo. Anzi mi auguro che il prossimo sindaco non provenga dal mondo sanitario. Mi piacerebbe ricoprire un incarico, anche di tipo umanitario, nel mondo del volontariato”).
Il dottor Genovesi, quale persona cordiale e sempre disponibile, risponde da casa ad alcune domande che gli abbiamo posto via telefono.

Dottore, lei indubbiamente rappresenta una istituzione all’interno dell’ospedale di Livorno.
Sono entrato in servizio nel ’73, a Livorno, come ispettore sanitario dell’istituto ortopedico toscano con sede livornese a Monterotondo. Ho trascorso lì due anni, giusto il tempo di specializzarmi in anestesia come era nelle mie corde. Un incarico, quello di anestesista, che ho ricoperto per 20 anni al fianco, nell’ordine, dei prof. Fontana, Logi e Pacini prima di diventare primario del reparto di anestesia e rianimazione alla fine degli anni Novanta. Qualche anno dopo sarei stato nominato a capo della centrale operativa del 118 di Livorno, da me tra l’altro fondata seguendo le direttive regionali e nazionali, per poi infine assumere l’attuale incarico di direttore del dipartimento emergenza e urgenza, il che vuol dire responsabile del 118 e dei 4 pronto soccorso di competenza dell’Asl 6.

Come è cambiata la sanità in tutti questi anni?
Moltissimo. Dai 1600 posti letto dei miei tempi siamo passati ai 500 circa attuali. Ma è un dato questo che va letto come la trasformazione del modo di intendere la nostra professione. Da una medicina, che definisco clinica, in cui il medico era il perno centrale e completava la diagnosi visitando il paziente, mettendogli la mano sulla pancia, siamo passati a una medicina tecnologicamente avanzata con terapie assolutamente impensabili decenni fa. Pensiamo ai progressi nel campo oncologico. Ma potrei farle anche un banale esempio: prima per un esame del sangue dovevi attendere 3 giorni per avere i risultati, oggi in 30 minuti hai tutto. Si è evoluta la macchina diagnostica e dei servizi.

Quindi possiamo parlare di un mutamento in positivo?
I risultati di oggi sono senz’altro migliori rispetto a quelli che si ottenevano ieri. Non lo dico solo io ma i parametri internazionali (mortalità infantile, sopravvivenza, età media). Oggi vedere un 90enne in salute non stupisce più. Indubbiamente questa trasformazione ha determinato un incremento della qualità della prestazione sanitaria.
Se vogliamo sintetizzare direi così: oggi siamo di fronte a una sanità più tecnologica e meno umana. Quando tutto si industrializza si perde l’aspetto artigianale del fare le cose, compreso quello medico, ma questo non vuol dire che si peggiori”.

Dottore, il “nostro” 118 funziona?
Funziona e bene. Una riprova indiretta è arrivata di recente dalla Regione Toscana che ci ha scelto come punto di riferimento dell’Area Vasta della Toscana (l’apposita commissione tecnica istituita per valutare tutte le centrali 118 in Toscana al fine di operare la riorganizzazione territoriale ne ha salvate 6: oltre a Livorno, Pistoia, Siena, Arezzo, Firenze e Viareggio, ndr). Mi faccia dire comunque che in  Toscana la qualità dei vari 118 è uniforme. L’elemento comune è la presenza di un mondo del volontariato.

E a Livorno il mondo del volontariato è in salute?
In città esiste una qualità incontrovertibile, un livello organizzativo e un tasso di efficienza invidiabili. Basti dire che dal gennaio 1997 nemmeno una volta abbiamo avuto un “buco”, una defiance: un turno scoperto, una ambulanza arrivata in ritardo… Non ci dimentichiamo che stiamo parlando di volontari.

Questo però non basta?
No è vero. Il volontariato sta attraversando una crisi sociale profonda. Mancano i nuovi volontari. Per questo dico che le varie associazioni che operano sul territorio hanno fatto e continuano a fare miracoli e salti mortali nel garantire un 118 all’altezza della situazione.  L’organizzazione e la professionalità di chi opera nel 118 dovrebbe essere da esempio per molte categorie di lavoratori.

Dall’alto della sua esperienza ha qualche consiglio da dare a chi si affaccia oggi nel campo medico?
Rispettate sempre i principi etico-morali della professione. La nostra stella cometa è l’interesse dei pazienti. Una volta che si ha ben chiaro questo come meta non sbagliamo mai. Noi agiamo in nome del paziente e dobbiamo fare tutto ciò che è possibile in suo favore andando contro, se necessario, a quello che talvolta “consiglia” il paziente stesso.

Ha qualche sassolino dalla scarpa da togliersi?
Direi di no. Nella mia strada ho sempre trovato persone collaborative e professionali sia a livello aziendale e regionale.

Lei assisterà alla nascita del nuovo ospedale da “normale” cittadino. Ma da addetto ai lavori si sente di dire che quella di Montenero era l’unica area possibile di costruzione?
Era l’unica soluzione percorribile in tempi rapidi, parlo soprattutto a livello burocratico. Non so se ci sarebbe potuta essere una riorganizzazione di quello attuale. La questione semmai è un’altra.

Quale?
La domanda che dobbiamo porci è: quale sarà la sanità nel momento in cui sorgerà la nuova struttura. I tempi medi di costruzione sono di 6-7 anni. Visti i ritmi con cui viaggia la ricerca arrivati a quella data che cosa dovremmo cambiare? Quali macchinari dovremmo portarvi all’interno? Quali tecniche e quali terapie i miei colleghi saranno chiamati ad imparare e seguire? L’altro nodo è quello legato alla viabilità. Al momento l’ospedale di oggi è un certezza, quello nuovo sarà una sfida.

Cosa farà da grande?
Ho ricevuto diverse offerte ma sto valutando di entrare a far parte del mondo del volontariato. Magari all’interno di qualche programma umanitario, con impiego all’estero perché no, purché mi trasmetta degli stimoli nuovi.

Mi conferma che in tutti questi anni ha accumulato 150 giorni di ferie senza però averli mai smaltiti?
Sì, ma è una scelta, quella di non averli smaltiti, che ho fatto con convinzione e di cui non mi pento. Sarei potuto andare in pensione dal 1° luglio subito dopo aver raggiunto l’età pensionabile. Ma ho preferito continuare e dare l’esempio tutelando tutti i miei colleghi che adesso si sentono orfani, un po’ spaventati. Lascio la mia vice, Rita Dragoni, e la capo sala, Paola Tazzioli, insieme a me il perno del dipartimento.

 

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