Riforma portuale, ecco tutte le novità in agenda

La riforma del sistema portuale è ormai definita nel dettaglio. Mancano alcuni passaggi in Conferenza delle Regioni, in Consiglio di Stato e presso le Commissioni parlamentari competenti

La riforma del sistema portuale è ormai definita nel dettaglio. Mancano alcuni passaggi in Conferenza delle Regioni, in Consiglio di Stato e presso le Commissioni parlamentari competenti, e la legge che nel ‘94 ha istituito le Autorità Portuali cambierà per sempre volto. Il tema è stato al centro di una approfondita discussione in occasione di un seminario tenutosi lunedì 22 pomeriggio a Livorno, nella suggestiva Sala della Canaviglia della Fortezza Vecchia. Ad accendere un faro sul decreto di “Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle autorità portuali”, presentato dal Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, in applicazione della delega conferita dal DDL sulla riforma della pubblica amministrazione, è stato il commissario Gallanti, che ha chiamato a raccolta illustri relatori e oltre 200 tra operatori e rappresentanti delle istituzioni.

Si tratta della prima occasione in cui si ha la possibilità di parlare veramente della riforma da quando è stata presentata nel Consiglio dei Ministri. Quindici Autorità Portuali di Sistema (AdSP) al posto delle 24 Port Authorities oggi esistenti; un comitato di gestione snello in sostituzione dei pletorici comitati portuali; un presidente con mandato quadriennale, e con maggiori poteri rispetto al passato, nominato dal Ministro d’intesa con il Presidente o i Presidenti delle Regioni interessate; un “Tavolo di partenariato della risorsa mare”, che va a sostituire le attuali commissioni consultive; gli Uffici territoriali al posto delle Autorità Portuali nei porti non sede di Adsp e un tavolo nazionale di coordinamento delle AdSP”, chiamato a coordinare e armonizzare le scelte strategiche che attengono i grandi investimenti infrastrutturali e quelle di pianificazione urbanistica in ambito portuale, le strategie di attuazione delle politiche concessorie del demanio marittimo nonché le strategie di marketing e promozione sui mercati internazionali. Queste, a grandissime linee, le novità di una riforma che, a detta del segretario generale della Port Authority di Livorno Massimo Provinciali, ha fato una inversione a 180° rispetto al modello di governance propugnato con la legge 84/94, andando nella direzione di una maggiore centralizzazione dei poteri di coordinamento delle Autorità Portuali in capo a Roma, e verso una sostanziale riassorbimento delle Adsp dentro un sistema pubblicistico dove i comitati di gestione sono di fatto composti esclusivamente da rappresentanti delle istituzioni

Per i relatori presenti al seminario il decreto legislativo viene considerato solo il primissimo step di un processo di riforma dell’ordinamento portuale che il cluster marittimo aspetta da molto, troppo tempo e che in diversi avrebbero voluto vedere inserito all’interno di un quadro normativo organico nell’ambito del quale includere, tra gli altri, temi ad oggi non ancora toccati, come il lavoro.

Il fatto è che – a sottolinearlo è stato anche il direttore generale al Mit dei Porti, Enrico Pujia – fuori dall’Italia c’è chi corre, e parecchio anche: in un anno Tanger Med è diventato un competitor temibile, il Canale di Suez è stato raddoppiato, e una volta che sarà terminato, il tunnel del Gottardo permetterà di raggiungere Milano da Zurigo in appena tre ore, tagliando fuori dalla mappa quei porti italiani, che a cominciare dal 2002, da quando cioè sono venute a mancare le leggi nazionali di settore con le quali sono stati finanziati gli investimenti infrastrutturali, hanno smesso di crescere.

«Non c’è dubbio che quella che abbiamo oggi non è una revisione organica della legge 84/94, ma un tentativo di riordino in cui si mettono insieme Autorità Portuali grandi con Autorità Portuali più piccole – ammette il professor Maurizio Maresca, esperto di diritto comunitario – molte cose sono cambiate dal ’94 ad oggi, in questi anni sono cresciuti di più i porti gestiti come spa (vedi Rotterdam). Va sicuramente detto che i mercati attuali, per come sono composti, non possono più interfacciarsi più con delle singole Autorità Portuali, ma hanno bisogno di rapportarsi con dei veri e propri sistemi portuali».

Per Maresca non è detto che il modello di governance simil Rotterdam sia il migliore, ma all’alba del nuovo millennio non è poi cosi «trasgressivo pensare di adottare un modello societario».  Invece, in Italia il governo sta andando verso un’altra direzione: «L’adesione ad un modello di governo più indipendente è un trend in via di sviluppo che sta interessando un numero sempre maggiore di porti europei – afferma Gallanti – in Italia stiamo propendendo, invece, per un modello di governance pubblicistico. Non potremo mai fare concorrenza ai porti nord-europei se riduciamo le nostre autorità portuali al ruolo di house keeper, di semplici amministratori di condomonio. Le Autorità Portuali devono essere, invece, dei cluster manager, e muoversi come veri e propri sistemi logistici».

Sistemi, che per il professore emerito dell’Università di Genova Pier Paolo Puliafito, dovrebbero poter includere anche gli interporti e i retroporti, mentre, da quel che è dato leggere nello schema di decreto, non c’è infatti alcun riferimento alla possibilità, prevista dalla legge 84/94, per le Autorità Portuali di partecipare a società anche ai fini della promozione della logistica. «Su questo tema – afferma Puliafito – ho la sensazione che ci sia un deficit di strategia: i porti dovrebbero poter svolgere la funzione di traino all’interno di una catena logistica integrata nella quale siano ricompresi anche gli interporti, ma il testo parla soltanto di deboli forme di raccordo tra porti e retorporti, trattandoli come se dovessero rimanere gli uni distinti dagli altri. L’impostazione dell’art. 6, comma 4, lettera f, della riforma appare debole».

E debole, anzi contraddittorio, appare, agli occhi del segretario generale di Assoporti, Polo Ferrandino, il doppio sistema di classificazione presente all’interno della riforma: «Appare condivisibile – afferma – ancorare le Adsp ai cooridoi del Ten-T Network. Ma se vale la classificazione di fatto discendente dalla rete del Transport Network, non si vede quale sia la ragione che ha spinto il legislatore a mantenere anche la seconda classificazione ex art. 4 della legge 84/94».

E poi c’è il tema del tavolo di coordinamento centrale e dei tavoli di partenariato, che per il presidente di Assoterminal, Marco Conforti, sono come un dito nell’occhio, perché di fatto escludono i rappresentanti dei terminalisti da qualsiasi organo decisionale: «Prendiamo atto che c’è stata una decisione politica chiara: ma chiediamo che si stabiliscano regole chiare su come devono funzionare i tavoli di partenariato. Non è giusto che i terminalisti, che investono svariati di milioni di euro per l’equipment di una infrastruttura, contino quanto chiunque altro. Ho la spiacevole sensazione di trovarmi in una check list»

Per Conforti, poi, i problemi veri sono altri: «servono atti di buona amministrazione – sottolinea – come la risoluzione omogenea su tutto il territorio nazionale della questione Ici/Imu sulle concessioni demaniali,  o come una pianificazione chiara a livello statale che indichi una volta per tutte su quali investimenti l’Italia punta e su quali no».

Certo, la riforma non presenta solo criticità, per il senatore Marco Filippi, capo gruppo della commissione trasporti e infrastrutture del Senato, ci sono molti aspetti positivi: «Lo dico francamente – dihciara – io sono perché questa legge vada in porto. Mi auguro, però, che durante il percorso che porterà all’approvazione della riforma in Consiglio dei Ministri, vengano fatte delle correzioni». Filippi, che assieme al collega Mario Tullo della Camera dovrà esprimere un parere “rafforzato” sul provvedimento, i riferisce, tra le altre cose, 1) alla possibuilità di far presiedere il tavolo di coordinamento nazionale dal Ministro («se vogliamo che il Tavolo abbia un ruolo fondamentale, dobbiamo fare in modo che le scelte che vengono prese all’interno di quel consesso facciano capo al Ministro») 2) alla necessità di valorizzare il ruolo di Assoporti («Chiederò che l’Associazione sia parte integrante nel tavolo di coordinamento”) e 3) alla opportunità di integrare porti, interporti e retroporti in una visione di insieme.

 

 

Riproduzione riservata ©