“Sociale, bandi non a norma: ritirateli”

di Francesco Calvi

“Il sociale non lo possiamo più mantenere”. Queste le parole che secondo Roberto Francesconi (Uil Lpl) dovrebbe pronunciare chi si occupa di questo settore del lavoro;  parole che però come egli stesso afferma “non porterebbero voti e che quindi nessuno ha il coraggio di pronunciare”. Veniamo ai fatti. Mercoledì 16 dicembre, nei locali della Cgil a Porta a Terra, si è discusso dell’emissione di bandi che risulterebbero sprovvisti di clausola sociale. I sindacati hanno esaminato i bandi emanati dall’Asl 6 e dal Comune di Rosignano nei quali si riscontrerebbero fondamentalmente tre problematiche: l’assenza della clausola di salvaguardia nazionale, la mancanza di indicazioni sul contratto nazionale del lavoro da applicare ai lavoratori impegnati nell’appalto e le tariffe orarie al di sotto dei minimi contrattuali secondo le tabelle ministeriali.
La richiesta da parte di Fp Cgil, Fpl Uil, Fp Cisl è quella del ritiro immediato dei bandi in oggetto o in alternativa la posticipazione dei termini di presentazione delle offerte e l’apertura contestuale di un tavolo di confronto con le parti sociali. “Le scadenze dei bandi sono previste per il 18 dicembre per il comune di Rosignano e il 21 per l’Asl – spiega Francesco Redini di Fp-CISL – Il problema essenziale è la totale assenza della salvaguardia del lavoratore: tramite questi appalti si ha una sostanziale disparità tra base d’asta e numero di ore da offrire che incide sullo stipendio del lavoratore. Ad esempio – continua Redini – un operatore OSS a Cecina o a Rosignano può prendere 16 € lorde mentre a Livorno può raggiungere i 21 euro e in Val di Cornia i 27 euro”.
Il grosso problema di questi appalti lavorativi è sostanzialmente riassumibile in due righe: la ditta o l’azienda che vince l’appalto per riuscire a rientrare nei costi di fatturazione dovrà nella migliore dell’ipotesi limitare le ore lavorative dello stipendiato; nella peggiore si arriverà ad un licenziamento che ci porterà nel giro di qualche anno dai 1000 lavoratori circa nel settore sociale alle 300-400 persone. “Di queste 1000 persone circa ben il 97% sono donne che percepiscono uno stipendio medio che si aggira tra i 700-1000 euro al mese –  spiega Barbara Celati della Cgil – con l’attuazione di questi appalti lavorativi gli stipendi raggiungeranno un tetto massimo di 400-500 €/mese; oltre al danno anche la beffa, poiché il lavoro mancante non sarà integrato da altri lavoratori ma dovrà essere eseguito dagli stessi che si sono visti dimezzare il proprio salario”.

 

 

 

Riproduzione riservata ©