Il Consiglio Comunale senza presidente
Sono state due, il 7 gennaio, e nulle, le votazioni andate a vuoto per l’elezione del nuovo presidente del Consiglio comunale. La prima votazione si era conclusa con 15 voti per il candidato del Movimento 5 stelle Daniele Esposito, uno per la consigliera del Partito Democratico Cristina Bini, 14 schede bianche e una scheda nulla. È così servita anche la seconda seduta, dove non serviva per l’elezione la maggioranza qualificata dei votanti. Tuttavia anche qui si è usciti con un nulla di fatto. In questo caso la votazione si è conclusa con 16 schede bianche e 16 voti per il consigliere Esposito. Tra le file della maggioranza era infatti assente, per problemi personali, la consigliera Serena Simoncini e nella prima seduta si era registrata l’assenza anche del capogruppo Alessio Batini.
Non solo la parità dei voti, c’è anche una questione di carattere tecnico: l’articolo 6 del regolamento comunale prevede che se dopo due scrutini il presidente ancora non sia stato eletto, si debba procedere a una terza votazione dove è previsto il ballottaggio, a maggioranza semplice, fra i due candidati che hanno riportato il maggior numero di voti. La chiave di tutto sta proprio nell’espressione a maggioranza semplice, che può avere diverse interpretazioni: da una parte può essere intesa come “la maggioranza dei voti”, mentre dall’altra “la maggioranza dei voti più uno”, quindi nel caso del Consiglio comunale dove i votanti sono 32, 33 se aggiungiamo il sindaco, sarebbero serviti 17 voti per eleggere il presidente.
A sposare la prima lettura è stato il segretario generale Giuseppe Ascione, secondo il quale “ può essere considerato eletto – come si legge nel parere scritto portato ieri in Consiglio comunale – il candidato che ha ottenuto il più alto numero dei voti, a prescindere dal numero dei votanti”. Hanno sostenuto invece la seconda ipotesi 6 dei 7 capigruppo delle forze politiche presenti in Consiglio comunale: come spiegato dalla presidente dimissionaria Giovanna Cepparello il parere della conferenza dei capigruppo diventa vincolante quando “è avallato dai quattro quinti dei componenti della conferenza”. Al di là della questione meramente tecnica, il dato significativo che emerge dalla doppia seduta di ieri è che servirà un’altra votazione, si presume la prossima settimana, per l’elezione del nuovo presidente e che spetterà al sindaco trovare, se vorrà, una convergenza sul nome anche con gli altri gruppi politici. Anche ieri infatti non sono mancate polemiche riguardo all’atteggiamento avuto da Nogarin per l’elezione del presidente. “Solo stasera (ieri, ndr) – ha attaccato Marco Cannito (Città diversa) – conosciamo il nome del candidato per la presidenza, cosa strana, visto che di solito si dovrebbe conoscere prima. Ritengo sia sbagliato attribuire una carica in questo modo, solo per scelta politica, con la persona candidata mandata allo sbaraglio. Per quanto ci riguarda – ha puntualizzato – non accetteremo alcuna carica, né istituzionale, né di giunta”. Anche Andrea Raspanti (Bl) ha criticato la modalità di scelta del sindaco caratterizzata “ da un’estemporaneità e da confusione”. Sulla stessa lunghezza d’onda è anche Pietro Caruso (Pd): “Solo alle 15:54, mi sono segnato l’ora – ha polemizzato – abbiamo conosciuto il nome presentato dalla maggioranza, un nome poco trasparente e fatto all’ultimo momento, che noi non condividiamo”. Di un mancato coinvolgimento delle opposizioni ha parlato anche Elisa Amato (Forza Italia), mentre Sandra Pecoretti (Livorno libera) ha fatto sapere che nessuno del suo gruppo, formato dai tre consiglieri espulsi dal Movimento 5 stelle, è stato contattato: “Comunque per quanto ci riguarda avremmo declinato qualsiasi ruolo, sia di presidenza, sia di vicepresidenza. Anche oggi non siamo disponibili ad assumere nessuna carica”. Concetto ripetuto e rincarato dal collega Giuseppe Grillotti: “Prima dell’espulsione da parte nostra era arrivata verso di lei – ha affermato rivolgendosi al sindaco Nogarin – la promessa di una mano tesa nei suoi confronti qualora ne avesse avuto il bisogno. La paura di perdere il suo posto ha prevalso sul buon senso, per questo ritiriamo l’offerta e in futuro ci limiteremo a votare gli atti condivisi nel programma, ma non la sosterremo più in caso di necessità, poiché riteniamo che non ci sia differenza tra il suo modo di fare politica e quello di chi l’ha preceduta. Livorno – è il pesante affondo finale – non ha bisogno di smarcarsi dalle casacche come ha detto in un’intervista, ma ha il dovere di smarcarsi da lei signor sindaco”.
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