Livornese a Parigi racconta l’inferno: ‘Ora voglio pace’

Giulia Filacanapa è una livornese di 32 anni che da qualche tempo vive e lavora a Parigi all’interno del’Università di Saint Denis. Come tanti giovani ha deciso di emigrare per vivere un’esperienza lontano dalla sua città, dalla sua nazione scegliendo la capitale francese. Ed è lì che la nostra concittadina Giulia ha vissuto in prima persona il dramma e la tragedia di questi ultimi giorni a seguito degli attentati terroristici ormai ben noti.
Noi di Quilivorno.it le abbiamo chiesto di scrivere una testimonianza di questi giorni, della “sua” Parigi, prima e dopo quanto accaduto, di quei momenti di paura e di viva emozione.
Ecco il toccante racconto di Giulia (in foto un’immagine scattata dalla stessa Giulia in Place de la Répuqlique durante la veglia in ricordo delle vittime dell’attentato di Charlie Hebdo)

“Parigi non è una città facile da vivere. Una città magnifica da visitare per un fine settimana romantico o una settimana tra amici, ma quando si decide di transferircisi in pianta stabile, di provare a farne la propria città, tutto diventa più complicato, la ville lumière perde il suo fascino e ci si rende presto conto di quanto sia una città difficile, pesante, spesso violenta, con grandi tensioni. L’essere umano riesce ad adattarsi a tutto e ovunque, per cui chi decide di restare inizia a trovare la propria dimensione, si forma una rete di amici, e conoscenti, vengono scelti negozi, bar, ristoranti dove vivere la propria quotidianità, e Parigi si rimpicciolisce: se ne vive una sola parte, un quartiere, al massimo due dove dividersi tra lavoro e casa e talvolta ci si dimentica anche di essere nella grande e bella Parigi. Per chi come me ama l’arte e la cultura è facile trovarvi, sicuramente più che altrove, delle isole di pace dove rifugiarsi e respirare. Questa in poche parole, è la “mia” Parigi, quella perlomeno che vivo ormai da anni: ma mercoledì verso la fine della mattinata tutto questo è crollato.

L’attentato a Charlie Hebdo, la rabbia e il dolore– Le informazioni arrivano velocemente, attraverso la rete, la radio, la televisione … un attentato, tanti, troppi morti. Chi ? dove ? Le prime notizie sono confuse, poi inizia a delinearsi uno scenario allucinante: la redazione di Charlie Hebdo, settimanale satirico – letto da chiunque e comprato il più possibile – decimata, almeno dodici morti, tanti feriti. Poi arrivano i nomi, e la rabbia inizia a salire. Li hanno ammazzati tutti: Charb, Wolinski, Cabu, Tignous e Honoré. Le “torri” della cultura satirica francese sono state abbattute, non esistono più … non designeranno più. Un sentimento di rabbia inizia a salire, dobbiamo scendere per le strade a manifestare il nostro dolore, la nostra indignazione contro questo massacro terrorista.

Tutti in piazza per Charlie – Ed è quello che facciamo, a poche ore di distanza dalla strage, attraverso la rete si forma un movimento di anonimi cittadini che decidono di scendere in Place de la Réplublique, simbolo per eccellenza dei valori repubblicani di questa sconvolta nazione. Troviamo una folla incredibile di persone, difficile anche camminare, le reazioni sono molteplici: molti giovani prendano d’assalto la statua che campeggia nel centro della piazza, gridano la loro rabbia, e rivendicano la libertà di espressione; altri si raccolgono in preghiera, formano dei cerchi di silenzio, seduti a terra o in piedi; altri ancora creano, attraverso una composizione di candele, la scritta “Je suis Charlie”, illuminando questo slogan che ormai ha fatto il giro del mondo ed è sulla bocca/bacheca di chiunque.

Il silenzio assordante di Parigi – A Parigi fa freddo in questi giorni, si torna a casa … per le strade regna il silenzio; anche rue Oberkampf, una delle strade della “movida” parigina, è deserta, le vetrine di alcuni locali espongono un cartello “Venez en place avec nous” (Venite in piazza con noi ndr), tutti sono a République, la veglia prosegue per gran parte della notte. E con la notte si spera che questo incubo finisca, si parla di fare una seconda veglia giovedì sera, e poi una manifestazione domenica, ma nessuno (almeno di noi comuni cittadini) sospetta che il peggio debba ancora arrivare.

“Giulia, non andare a lavoro, resta a casa” –Durante la giornata di giovedì un’atmosfera pesante regna per le strade e nel mondo virtuale, la Francia è a lutto. S’iniziano ad avere nuove informazioni: una poliziotta è stata uccisa durante la mattinata, i fratelli Kouachi sono ancora in fuga … Ma com’è possibile – ci chiediamo tutti – cha abbiano “dimenticato” la carta di identità in macchina? … “Per fortuna non hanno ucciso il gestore della stazione di servizio” … “Speriamo che li prendano presto” … “Ma secondo te il numero di mercoledì prossimo di Charlie Hebdo uscirà o no ?”. Mentre siamo presi da questo turbinio di pensieri e d’interrogativi, arriva all’ora di pranzo di ieri, venerdì 9 gennaio, una notizia sconvolgente: alcune persone sono state prese in ostaggio in un supermercato kosher a Porte de Vincennes.

Parigi è sotto assedio – Parigi è sotto assedio, nel giro di pochissimo tempo una quantità incredibile di poliziotti circonda il perimetro, tutte le grandi arterie della parte Est sono bloccate, le metro e le RER chiuse … Restiamo tutti con il fiato sospeso a casa. Iniziano le chiamate di amici e amiche: “dove sei ? cosa fai ?” – “No, non andare a lavoro resta a casa !” – “Come faccio non riesco a rientrare su Parigi? Non è possibile tutto è bloccato!” – “Ho paura Giulia … anch’io ne ho”.

E’ impossibile lavorare, tutto è paralizzato – Casa mia è troppo lontana per vedere qualcosa, ma nonostante abiti a quasi tre chilometri di distanza dal luogo dell’attentato, durante tutto il pomeriggio sento dalla finestra le sirene della polizia … E’ impossibile lavorare, impossibile far niente, siamo tutti davanti alla televisione, seguiamo passo passo ogni evoluzione, ascoltiamo testimonianze agghiaccianti: più di cento persone rinchiuse nel sottosuolo di un grande supermercato, la direttrice di una scuola vicino a porte de Vincennes chiede in diretta ai genitori di smettere di telefonare, i ragazzi rimarranno nell’edificio sino alla fine delle operazioni, donne sole terrorizzate rinchiuse in casa a pochi passi dal luogo dell’attentato. Difficile credere che tutto questo si stia svolgendo nella mia città, non lontano da casa mia: se nei giorni passati ero invasa da un sentimento di rabbia, oggi è la paura che mi pervade. Stanno vincendo loro? Per fortuna no, nel giro di pochissimi minuti tutto finisce, i due “fuochi” vengono spenti simultaneamente: in campagna i due fratelli assassini vengono uccisi, in città gli ostaggi liberati, noi nelle case pietrificati davanti alla televisione.

E’ finito tutto? Non lo so…. – E’ tutto finito ? Non lo so … Siamo al sicuro ? Non lo so … Scendo a fare la spesa, stasera ho voglia di mangiare una pizza (surgelata e cattivissima), ma ho voglia di casa, ho bisogno di un po’ di pace. Il supermercato è quasi deserto per essere un venerdì sera, ci guardiamo l’un l’altro, sconvolti, increduli, sguardi tristi, tutti consapevoli … per la prima volta in tanti anni non mi sento tra estranei. Facciamo purtroppo tutti parte di quel popolo che è stato violato nel più intimo. Sono entrati in casa nostra, e attaccato la nostra libertà di espressione, di pensiero, e di religione. Siamo tutti uniti perché quella nazione dove abbiamo deciso di vivere, al di là dei tanti difetti, è prima di tutto un paese libero, e questa libertà nessuno ha il diritto di prendercela. Per questo scenderemo tutti in piazza domenica prossima per una marcia repubblicana, apolitica, apartitica: tutte le religioni confuse, tutti uniti e solidali, perché: nous sommes libres!”.

Giulia Filacanapa

Université Paris 8 Saint Denis

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