Addio a Vasco Lucarelli, scrittore “incontenibile” della sua Montenero

di Antonio Papini (@maledettotoscano)

La notizia ha colto i più impreparati anche se per i più vicini alla famiglia lo stato di salute di Vasco Lucarelli era noto da tempo. Vasco Lucarelli ci ha lasciato dopo anni che lottava con il morbo di Alzahimer. Si è spento circondato dall’amore della moglie Edda (66 anni di vita insieme) di figli, nuore e nipoti. Nato a Fauglia il 29 agosto del 1923, ultimo di quattro fratelli a soli tre anni si trasferì con la famiglia a Montenero. Oggi alle 10, al Santuario di Montenero, le esequie.

Uomo di forte fede (argomento spesso presente nei suoi libri), Vasco Lucarelli è stato oltre che professore e dirigente Asl soprattutto uno scrittore “incontenibile”, dirompente e “storico” dello scorrere del tempo della sua Montenero. Amava alla follia quella frazione di Livorno che raccoglieva in sé tutto il suo mondo. L’amore per la famiglia, per la vita rurale, per la devozione al culto Mariano e per quell’oasi di pace che solo Montenero gli ha regalato per tutta la sua vita. Durante il periodo bellico lavorò come operaio alla Stanic, cosa che gli permise di laurearsi in lettere e filosofia. Insegnò prima a Collesalvetti, poi all’Isola d’Elba. Vinto il concorso per direttore della Cassa Mutua Artigiani di Livorno (ruolo che ricoprì fino a metà degli anni ’70) diventò poi Provveditore dell’Ospedale di Livorno fino all’età della pensione (1988). Nel 1964 venne nominato Cavaliere del Lavoro. Progressista, degasperiano, antifascista convinto, aderì da subito alla Democrazia Cristiana, anche se, come abbiamo ricordato, la sua più grande passione è stata la scrittura. Una scrittura asciutta, diretta ma di profonda cultura che ha sempre raggiunto i suoi lettori senza preconcetti e finti filtri. Il suo approccio diretto con la scrittura risale a quasi 40 anni fa quando, nel 1974, viene pubblicato “Le Reti Vuote” con presentazione di Geno Pampaloni e Ruggero Orlando. Poi dopo varie recensioni anche sui canali Rai il 1980 vede la trasposizione teatrale di “Giovanni detto Francesco” (1980), una sorta di biografia del santo di Assisi vista e vissuta dal punto di vista del Padre Pietro Bernardone. In questo breve ma sentito ricordo non possiamo non ricordare “Labronica”, libro quasi autobiografico, ambientato durante la Resistenza a Livorno o “Il sepolcro nella roccia” (storia di Giuseppe d’Arimatea che colpì e raccolse l’interesse Pupi Avati). E poi l’ultima sua fatica “Sogni al crepuscolo”, ambientato a Livorno durante il Risorgimento.
Sterminata la produzione riguardante Montenero, dicevamo. La Montenero e il Santuario di Lucarelli, dove le raccolte di racconti si intrecciano amabilmente con gli aneddoti più strani e più significativi “Montenero, parlata sottovoce d’amore e nostalgia”, “Montenero, ballata di rimembranze”, “Montenero, tra ricordi e leggende”, “Tafari e il calzolaio” senza dimenticare gli scritti più prettamente legati alla religione e alla teologia, in particolare alla Madonna di Montenero e al suo Santuario: “Le litanie ed il rosario della Madonna di Montenero”, “San Giovanni Gualberto. Mille anni di giovinezza”, “Vieni da me sul monte: storia dei grandi pellegrinaggi al Santuario di Montenero” e molti altri. Permettetemi, infine, un ricordo personale. Alcuni mesi fa Stefano, il figlio, durante un pranzo domenicale in famiglia, condivise una foto dove suo padre stringe forte, sulla tavola apparecchiata, la mano della moglie. Forse un attimo di risveglio dal morbo. Sicuramente la testimonianza di un amore che non finirà mai, come quello nel raccontare Montenero, ma non solo.

 

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