Soste selvaggia ai tempi di “Alceste”. La storia

Il giorno del suo arresto per “gravi atti di vandalismo” per poco non ci fu una rivolta popolare. Ma come, si chiedeva la gente, uno che da solo, con metodi non proprio ortodossi certo, è riuscito a far si che nessuna auto in città parcheggiasse più in doppia fila! Un premio gli andrebbe dato. Invece l’arresto. Io lo conoscevo bene. Avevamo giocato nella squadra di baseball degli “Yankees amaranto” quando avevamo dodici anni. Poi, io avevo optato per il calcio, lui era rimasto a giocare a baseball, con buoni risultati. Ma fatemi raccontare la sua disavventura. Alceste, al secolo Andrea Nenci, era un ragazzo molto chiuso ma anche molto intelligente. Un giorno era in giro per il centro della città con la sua inseparabile moto, una Kawasaki 750 detta “la bara volante”. Si distrasse per un attimo, e andò ad urtare con il gomito destro allo specchietto laterale di un grosso Suv parcheggiato in doppia fila. Alceste si fermò subito, ma non fece in tempo a mettere la moto sul cavalletto che un energumeno uscito di corsa da un negozio gli dette un pugno nello stomaco che lo fece rotolare a terra. Non contento, l’aggressore continuò a colpirlo con calci e pugni su tutto il corpo fino a farlo svenire. Ne seguì una serie di denunce reciproche per aggressione che finirono in una bolla di sapone in quanto “energumeno” aveva amici potenti, là nei posti che contano. Alceste non si riprese mai da quella brutta storia, si chiuse ancora più in se stesso e iniziò a meditare improbabili vendette. La sua intelligenza lo portò a capire che qualsiasi ritorsione avesse intrapreso nei confronti del suo aggressore, avrebbe condotto gli eventuali investigatori a lui. Allora prese una decisione drastica: nessuna auto che parcheggia in doppia fila resterà impunita. Tinse la sua moto ed il suo casco integrale di nero, si comprò una tuta anch’essa completamente nera, e adattò uno zaino a porta mazza da baseball. Iniziò così la sua carriera di “spacca specchietti”. All’inizio, nessuno ci fece caso. Quando le denunce “contro ignoti” cominciarono a fioccare in Questura e la stampa fece un bell’articolo sulla prima pagina della cronaca, le cose cambiarono. Il giorno che si stimò che gli specchietti rotti potessero essere arrivati a quota cento, lo “spacca specchietti” era diventato famoso. Tutti in città avevano un amico o un parente “colpito” e molti l’avevano anche visto in azione. Ma nessuno era in grado di riconoscerlo o di poter dare informazioni su di lui. Come spesso succede, la sindrome di emulazione fece le prime vittime. Le bombolette nere andarono a ruba, cosi qualche decina di mazze da baseball. Ma del vero “spacca specchietti” nessuna traccia. In compenso in città si iniziò a notare una certa “riluttanza” nel parcheggiare in doppia fila. Chi aveva un minimo di buon senso unito ad una buona dose di paura, faceva molti giri in auto alla ricerca di un parcheggio che non fosse in seconda fila. Un giorno ero al bar sotto casa quando un ragazzo ci raccontò la tecnica precisa perché “lui” l’aveva visto in azione. La moto passa, vede un’auto in “doppia”, fa un giro largo mentre il “tizio” estrae da dietro lo zaino una mazza da baseball “tutta nera”. Si avvicina sgassando, rotea la mazza e “spappola” lo specchietto in mille pezzi, e poi via a “palla”. La descrizione non faceva una grinza, il “tizio” che la raccontava…..lasciamo perdere. Quando la diceria popolare iniziò a caldeggiare quota 200, il Questore convocò una riunione straordinaria sull’ordine pubblico specifica sull’argomento. Dal giorno dopo, posti di blocco e pattugliamenti speciali si videro con frequenza allarmante. Le auto parcheggiate in “doppia” iniziavano a scarseggiare e quindi scarseggiavano anche i “fuoricampo”, termine reale nel gioco del baseball (quando la palla battuta con la mazza esce effettivamente dalla perimetrazione del campo) e subito adottata dalla popolazione per evidenziare il fatto che lo “spacca specchietti” aveva colpito ancora. Ci volle tutta la scaltrezza di Andrea Chelini detto il “volpe”, giovane commissario di Polizia investigativa, che dopo giorni passati ad incrociare database si era imbattuto in una denuncia per aggressione derivante dalla rottura di uno specchietto. Il “volpe”, una volta individuato il soggetto, lo pedinò per una settimana, poi organizzò una trappola. Un Suv bianco candido a due isolati dalla casa dell’indiziato, rigorosamente in “doppia”. Passarono due giorni poi Alceste “abboccò”. Dopo la “spaccata” una miriade di volanti si materializzarono e fu la fine. La stampa ci andò a nozze. Quindici giorni di “civette” impazzite, poi come sempre accade, l’oblio. Condannato ad un anno con la condizionale e al risarcimento dei malcapitati, Alceste decise di fare il grande passo e raggiungere l’amico Saverio a Salvador Bahia, a gestire un chiringuito sulla spiaggia. A me piace pensare che il “taglia gomme” che agisce sulle auto che parcheggiano nei posti riservati ai diversamente abili, che il “riga sportelli” che punisce chi parcheggia sulle strisce pedonali, che lo “spacca fanali” che predilige castigare chi parcheggia sui marciapiedi, siano tutti “figli” di Alceste.
Antonio Contini

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