Ponte mobile. BuongiornoLivorno: rendiamolo accessibile per tutti

Il ponte è quello che collega la terra ferma con l’accesso alla Fortezza Vecchia, un progetto della passata amministrazione che è stato portato a compimento pochi giorni fa. La città è Livorno. Diciamo pur che il ‘caso vuole’ che alla inaugurazione del ponticello fosse presente una persona su sedia a rotelle che ‘si è trovata nell’impossibilità’ di attraversare il ponte, insieme agli altri convenuti, poiché inaccessibile.
Come persona disabile ho sperimentato innumerevoli ‘ponti e ponticelli’ inaccessibili, come lo sono tante strutture pubbliche di questa città e di tante città d’Italia, in primis Roma Capitale. Un esempio su tutti: i cinema. Nella gran parte dei cinema (anche di ‘ultima generazione’) il posto riservato alle persone con disabilità è in prima fila, sotto lo schermo, così che il più delle volte usciamo con il torcicollo e una serie di incubi notturni per le ‘faccione’ di Nanni Moretti o dei Nazgul.
L’accessibilità è una questione prima di tutto culturale, poi di ordine architettonico, urbanistico, economico.
E Livorno purtroppo non si distanzia dalla media nazionale.
Di quale accessibilità vogliamo parlare? Quella che mi rende libera di scorrazzare con la mia sedia senza che chi mi aiuta a spingermi ci rimetta i polmoni o le ginocchia oppure quella che mi ‘permetterebbe’ di entrare in una struttura in virtù di alcuni volenterosi che mi prendono di peso come un pacco postale e mi depositano orgogliosi di avere fatto quello sforzo? E badate bene il ‘pacco postale’ lo faccio spesso ma non mi diverte per niente. Sono costretta ad adattarmi alle circostanze continuamente e quando mi accorgo che nonostante tutta la mia buona volontà, le circostanze non mutano, ecco che mi avvilisco.
Ma parliamo di monumenti: è verissimo che le regole che salvaguardano i beni culturali devono essere estremamente ferree. È verissimo che la Fortezza non si può né si deve toccare. Allora, però, la domanda che dobbiamo porci è un’altra: io che sono un’amministrazione, io che gestisco un luogo di interesse pubblico a quali cittadini rivolgo il mio operato? Se restauro e apro una struttura preziosa per la storia della città, a quale pubblico penso? A tutti o ad una parte che, io definisco con una punta di affettuosa polemica, ‘i felici normodotati’?
Oggi giorno innumerevoli sono le soluzioni che si possono trovare, sia dal punto di vista dei nuovi materiali che delle soluzioni ingegneristiche ed architettoniche, per garantire l’intoccabilità del bene culturale e, allo stesso tempo, la sua accessibilità e fruizione. E’ una questione di approcci e soprattutto di volontà.
In Finlandia ho visitato un intero scavo archeologico di un villaggio medievale (bene intoccabile) sospesa su rampe trasparenti, poste in giusta pendenza e agibilità che accoglievano una fila di 15 persone su sedia a rotelle senza alcun accompagnatore.
A Barcellona il mercato centrale del Born presenta uno scavo archeologico del quartiere (che vede fasi dall’età del ferro fino al medioevo) inaccessibile a chiunque, nel senso che dentro lo scavo nessuno ci può andare ma tutti possono guardarlo e ammirarlo grazie ad una meravigliosa pavimentazione in vetro. Comodamente seduti su belle panchine di ferro, sopra la testa una potente struttura in ghisa risalente ai primi del ‘900 e sotto ai piedi mille anni di storia, la storia del quartiere, la storia della città e dei suoi abitanti.
Simili soluzioni sono costose? Non so ma so che le risorse si possono trovare, soprattutto se coloro che ci amministrano si pongono la domanda: voglio aprire a tutti o, ahimè, solo a quelli che ce la fanno, in una maniera o nell’altra?
E i cittadini, gli abitanti di questa città che sono sulla sedie a rotelle, che camminano con stampelle o deambulatori, che sono ciechi o ipovedenti, che temono qualsiasi inciampo anche se lieve, tutti questi restano FUORI da edifici, negozi, monumenti, chiese, fortezze, musei oppure entrano dalla ‘porta di servizio’, quando c’è ed è accessibile.
Capite bene che dal mio punto di vista non c’è ‘macchinina che tenga’ (mi riferisco alla macchina che l’Autorità Portuale ha noleggiato per risalire una rampa all’interno della suddetta Fortezza Vecchia) ma rimane sempre la stessa domanda: per chi lavoro? Per una parte dei miei abitanti o per tutta la popolazione della mia città?
E vi prego non ditemi che si sta facendo il possibile, non aprite le braccia e non alzate gli occhi al cielo.
Si fa per parlare, per confrontarsi senza polemiche e inutili retoriche.
Non voglio entrare nel merito di leggi e norme, anche se pochi sembrano sapere – anche tra chi ci amministra – che l’accessibilità è imposta dalla legge e che i Comuni fin dal 1986 – sì, avete letto bene – sono obbligati a definire e applicare i Peba – Piani per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
Non voglio farne una questione di schieramenti o di partiti, non c’entra il Pd o i Cinque Stelle.
C’entriamo noi tutti, cittadini e amministratori, abili e disabili. C’entra la nostra idea di città perché una città accessibile nelle sue strade, nei suoi luoghi pubblici, nei suoi monumenti, nei suoi giardini è una città davvero per tutti e di tutti. L’alternativa è una città che chiude una parte dei suoi cittadini in casa e butta via la chiave. Se è questo quel che vogliamo, siamo decisamente sulla buona strada.

Francesca Talozzi
Buongiorno Livorno

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