Nous Sommes Charlie?

Vorrei provare a portare un contributo, dopo i fatti di Parigi, indagando, per quel che posso, le relazioni fra mondi occidentali e mondi islamici, ambedue attori variegati, figure di spicco per un nuovo incontro/scontro nel mondo globale.
Questo nuovo appuntamento sta assumendo la fisionomia di un vero e proprio scontro, che  Samuel Phillips Huntington, politologo statunitense, definì di “civiltà”, ripresentando nella contemporaneità il rapporto di tensione, oltre che religiosa anche sociale e culturale, che esiste fra Islam ed Europa, sin dal sorgere della religione di Muhammad nel VII secolo.
E’ bene precisare subito che indagare le cause del conflitto porta al raffronto fra una “minoranza” del mondo musulmano e l’Occidente, che, ad oggi, ha la faccia degli Stati Uniti  d’America, e non quella della vecchia Europa. Tutto ciò implica osservare le ragioni della mancata modernizzazione dei mondi islamici, anche in antitesi alla scomparsa della religiosità
dell’Occidente, prodotto della secolarizzazione e dell’illuminismo.  Al fine di capire le dissociazioni che macchiano di sangue il paese globale e che con l’11  settembre del 2001 hanno dato inizio alla “guerra al terrorismo” per l’Occidente e del “Jihad”
islamista radicale verso gli infedeli, dovremmo rifare il tratto delle fasi storiche di questo  confronto, con primaria attenzione ai passati eventi fra Europa ed Islam. Se le due civiltà hanno continuamente ponderato se stesse come conflittuali l’una  all’altra, sfociando spesso nel conflitto armato, hanno però maturato floride rotte commerciali e scambi  culturali di notevole importanza. L’Islam fino al Medioevo, rappresenta una civiltà florida e militarmente ultramoderna, in  grado di valersi del Jihad come mezzo di conquista politica e militare. Il Rinascimento, poi l’illuminismo e gli ideali nati con la Rivoluzione Francese, costituiscono i passi per il rovesciamento dei rapporti di forza fra le due civiltà. L’approdo di Napoleone in Egitto è l’inizio del ripiegamento dell’Impero Ottomano, che inaugura l’esperienza traumatica, per il mondo arabo, del colonialismo che avrà il suo apice con la Prima Guerra Mondiale.
La secolarizzazione dell’Occidente ha poi scavato, oltre al dislivello materiale di vita, un  abisso culturale con la civiltà musulmana che aveva già smesso, in ogni caso, di essere “un collettivo” geograficamente affine.  Non può apparire strano, dunque, che l’odierno conflitto non sembri coinvolgere due civiltà paritetiche, quanto una civiltà “mondiale” e ciò che rimane di una ex civiltà. Soltanto le indipendenze coloniali, il nazionalismo panislamico e il fondamentalismo degli anni Sessanta,
autorizzeranno i musulmani a dare attendibilità ad una nuova speranza.  Il Rinascimento islamico si accresce, così, sotto la spinta della deflagrazione demografica, senza però assumere le connotazioni di quello europeo. Anzi, all’opposto, questo rinascere si presenta principalmente come una reviviscenza religiosa che porta con sé, inevitabilmente, il rigetto
a priori della modernità a sostegno del “vero” Islam.
Per il nuovo pensiero fondamentalista islamico l’Occidente vive in balia della “jahiliyya”, termine con cui i musulmani designano il periodo anteriore al “compito profetico” di Maometto del VII secolo, caratterizzato dall’ignoranza preislamica dell’Arabia, prima della venuta del Profeta. I medesimi governi musulmani sono avvertiti come subalterni alle potenze occidentali. In collettività affollatissime e corrotte, dove la miseria è regina, incapaci di creare ricchezza  e senza guide “magnetiche” e concezioni di vita laiche, cresce un Islam politico, racchiuso nel messaggio religioso, che crea profeti come Ibn Taymiyya (considerato dai fondamentalisti islamici “vate e modello”. siamo nel XIII-XIV secolo). Fino ad arrivare, in un viaggio infinito, nel XX  secolo a Sayyid Qutb, del movimento dei Fratelli Musulmani, e a Sayyid al-Mawdudi con la sua
asserzione che un governo islamico deve accogliere la supremazia della shari’a, la quale deve penetrare ogni lato della vita politica e religiosa. Queste figure del fondamentalismo islamico, dall’Egitto al Pakistan, fanno da guida al  ritorno verso una società retta dalla shari’a, la legge islamica, e fantasticano una “città divina” in opposizione a quella generata dalla modernità.
Tali idee alimentano generazioni di universitari, mettendo loro in mano forti strumenti di opposizione ideologica, capaci di avversare l’ideologia capitalista e comunista durante la Guerra Fredda. I “pianeti” islamici subiscono le conseguenze di una modernizzazione imperfetta, diffusa dalla comunicazione di massa globale, e mai testata. E la scelta conseguente delle leadership religiose ed intellettuali giustifica la convinzione che proprio una smisurata modernizzazione sia la causa prima del declino egemonico degli imperi musulmani del passato. Questo paradosso storico fa sì che gli islamisti rifiutino in blocco
capitalismo, comunismo, metropolitanizzazione, libertà e democrazia, ripresentando sul tavolo la “grandeur” del ritorno all’Islam delle origini, sulla base del quale solo l’Islam originario va bene per l’Islam dell’oggi.
L’Islam politico sorge, allora, dalla disillusione per gli impegni non realizzati dai nazionalismi e declinerà significati diversi per sciiti e sunniti: per i primi vale il sogno della Rivoluzione islamica in Iran, per i secondi, dei quali al Qaeda rappresenterà la punta più estrema, i movimenti fondamentalisti ed islamisti .
La progressione terroristica ha imposto il passaggio dalla discussione sul Jihad a quella sul  martirio e il suicidio. Al Qaeda, sconfitti i sovietici in Afghanistan, diviene il baluardo contro il capitalismo e imperialismo USA, esacerbando il conflitto tra civiltà. Ma sorge, per la prima volta nella storia dello scontro fra Islam ed Occidente, non la lotta fra due civiltà, imperi o nazioni. Nel mondo globale, l’Islam non è più “tutto d’un pezzo” con una capitale e uno Stato guida, non è più come il grande ed unico impero Ottomano. E’ una galassia virtuale, una comunità di fedeli, l’Umna, estesa planetariamente e che vuol “svelare” il messaggio originario del Corano per contrapporlo al “materialismo” Occidentale e al diavolo americano.
Anche per l’Occidente c’è una situazione nuova, relativamente al suo passato remoto e recente: l’Europa non guida questo incontro/scontro, ma sono gli Stati Uniti che mettono le carte sul  tavolo. Se sulla base delle osservazioni concrete, la superiorità economica, militare e tecnologica occidentale è tale da capire quale possa essere l’esito di uno scontro, è proprio la globalizzazione, capitanata oggi dall’Occidente, con le sue reti e mercato deregolamentato, nonché la sua ampia  territorializzazione, che dà luogo ai neo terroristi globali di sfidare seriamente il mondo.
Armi di distruzioni di massa, attentati suicidi, atti come quelli di Parigi e le Torri gemelle, nonché le speculazioni finanziarie incontrollabili, garantiscono il continuo rinnovarsi della linfa vitale del terrorismo di provenienza islamista, in specie perché esso si pone non di conquistare i territori, bensì la soppressione del mondo della jahiliyya. Se il mondo attuale è, a questo punto, abituato a spartire ogni fatto contemporaneamente e in ogni dove, vuol dire che per la minoranza terroristica islamica si sono realizzate le condizioni per il  suo sviluppo, sopperendo alle carenze militari, economiche e tecnologiche.
Carlo Martello a Poitiers nel 732, dopo la vittoria, non mise in subbuglio minimamente il  mondo islamico, sebbene l’Occidente ne abbia fatto un simbolo. Mentre un evento come quello di  Parigi rimarrà stampato nella memoria di molte generazioni per decenni. Per questo motivo lo scontro di civiltà in atto, paradossalmente, può significare l’ultimo
incontro fra Islam e Occidente, almeno per come siamo mentalmente abituati a catalogare le due aree geopolitiche.
Il futuro è obbligato, a mio parere. Da una parte l’Islam, presto o tardi, o intraprende il  sentiero della modernizzazione passando per l’imbuto della secolarizzazione, con la relativa perdita
di identità su base religiosa, ma fondata su criteri etnici e culturali; o l’Occidente non potrà sostenere i costi del mercato globale, della deregolamentazione, della democrazia e della sicurezza, col rischio di restare schiacciato dal peso del confronto con le civiltà emergenti, e per di più quelle con sentimenti di “rinascita religiosa”, che grazie anche all’Islam, al proprio interno cominciano a riprendere vigore. Sostanzialmente il neo incontro fra Occidente e Islam si incentra ancora una volta su una dualità: al conflitto fra Islam e Cristianesimo del passato, l’Occidente ha sostituito il materialismo, mentre l’Islam rischia di abbandonare la tradizione per salire in sella, come già collaudato in Europa, ai totalitarismi pagani. Tornando, essa stessa, con il terrorismo globale, al mondo della Jahiliyya.
Ma se il terrorismo islamico è la minoranza dell’Islam, è proprio sulla maggioranza che va riposta la fiducia. Ma allora, mi domando, chi ha finanziato i terroristi islamici negli ultimi 30 anni? Le fonti storiche dicono che i Talebani sono stati finanziati dagli USA in chiave anti-sovietica, e Al Qaeda nasce proprio lì: l’Isis, a propria volta, nasce da Al Qaeda (troppo estremisti li dichiarò l’organizzazione quando li espulse) ed è stata sovvenzionata dall’Occidente per abbattere Assad.
Adesso sembra finanzi i Curdi, che dovrebbero essere i musulmani moderati, ma che son considerati dall’occidente dei terroristi. L’ISIS ha come nemici principali i “paesi canaglia” nemici degli USA, Siria e Iran. Infine i più stretti alleati degli Usa in medio oriente, l’Arabia Saudita e il Qatar finanziano l’ISIS. Un ginepraio. In cui tutti sono contro tutti e tutti sono insieme a tutti. Domanda: “Perché tutto ciò?”
Voglio rispondere, e concludo, con le parole di Giovanni Arrighi e Beverly Silver, in “Caos  e governo del mondo”, Mondadori, 2003, pp. 316-317: “L’espansione finanziaria globale degli ultimi vent’anni circa non è né un nuovo stadio del capitalismo mondiale, né il prodromo di una “imminente egemonia dei mercati globali”. Piuttosto, è il segno più chiaro del fatto che ci troviamo nel bel mezzo di una crisi egemonica. In quanto tale, l’espansione può essere considerata un fenomeno temporaneo che si concluderà più o meno catastroficamente, a seconda di come la crisi sarà affrontata dalla potenza egemonica in declino […]. L’unica domanda che rimane aperta a questo riguardo non è se, ma fra quanto tempo e quanto catastroficamente l’attuale dominio globale dei mercati finanziari non regolamentati crollerà.”
Non c’è atto terroristico nel mondo che non vada incanalato nell’ottica ciclica tra capitalismo territoriale e finanziario. I momenti di crisi hanno in sé opportunità e rischi ed aprono storicamente un’altra fase, in cui le nuove opportunità di oggi si paleseranno radicalmente nella nuova fase che si aprirà. Tutto dipende da come l’area geopolitica uscente gestirà questo passaggio. Mi pare proprio che Parigi stia dimostrando l’approssimazione europea e il radicarsi in USA della sensazione fobica del passaggio di testimone. E intanto l’Asia avanza.
Ennio Succi

Riproduzione riservata ©