La mia odissea per acquistare l’abbonamento Ctt a mio figlio

In un tiepido giovedì di ottobre, il 2 del mese, all’uscita dal lavoro mi reco in gran fretta all’ufficio del CCT per fare l’abbonamento dell’autobus a mio figlio minorenne.  L’ufficio (c’è tanto di cartello!) chiude alle 13.00 – Sono passate da poco le 12.00, raggiungo la meta poco prima delle 12.30, ce la dovrei fare! – Penso tranquillamente, ma l’ingenuità di questo pensiero si manifesta con brutalità non appena arrivo nell’ufficio di Largo Duomo di Livorno.
Dalle poche persone in fila, sette per l’esattezza, apprendo con sgomento che gli addetti hanno tolto la macchinetta distributrice di numeri e dunque senza numero non potrò riuscire a fare l’abbonamento. (Solo per la cronaca, va detto che già il giorno prima avevo fatto un tentativo, fallito miseramente, in quanto avendo a disposizione in una pausa dal lavoro soltanto un’ora, questo tempo non era bastato per poter anche solo avvicinarmi allo sportello, data la folla che mi precedeva). In uno slancio di ottimismo penso che se l’impiegata che mi sta di fronte riuscisse a servire coloro che mi precedono in un tempo piuttosto breve, una qualche possibilità di farcela anch’io prima della chiusura dello sportello ce l’ho. Mi lascio però incautamente sfuggire un commento su quella che ritengo una inadeguatezza del servizio, cioè un orario di sportello limitato alla sola mattina, che mette in seria difficoltà le persone che lavorano. Ancora non lo so, ma una simile considerazione non è passata inosservata alla vigile operatrice di sportello. Solo dopo pochi minuti un signore decide di abbandonare la fila e mi cede così il numero che aveva in mano. Io, poiché altrimenti sarei passata avanti a chi comunque era venuto prima di me, prendo, al posto di questo, il numero dell’ultima persona della fila e così l’ordine di attesa è ristabilito. La solerte impiegata che si accorge dello scambio manifesta, non si sa per qual motivo, il suo malumore e dissenso, e nessuno riesce a capire bene quale danno o torto starebbe subendo lei, nel servire una persona, cioè me, al posto di un’altra, cioè il signore che ha abbandonato la fila. I minuti passano, ma c’è un evidente nervosismo crescente in quanto colei che per ragioni oscure si sente raggirata comincia a dire che alle 13.00, non ci sarà numero che tenga, lei chiuderà lo sportello. Saremmo troppo in malafede a pensare che l’impiegata sta adottando la cosiddetta strategia della lumaca, ma per un attimo, solo per un attimo, il pensiero serpeggia fra gli astanti, o perlomeno nella mia testa. È sempre più evidente la volontà della signora dello sportello di esercitare quello che in questo momento è il suo potere e riuscire a abbassare la tendina sulle facce incredule di chi gli sta di fronte col numerino ben stretto fra le dita. Certo, vedendo dalla sua prospettiva, si può capire l’estenuazione di quelle lunghissime e snervantissime quattro ore di lavoro a uno sportello contro –pardon – di fronte a gente che viene all’ultimo momento e magari ti vuol pure far fessa! Sono le 13.00, l’impiegata non ha ancora finito di servire chi è allo sportello e già abbassa la tendina a metà, le due persone rimaste col numero in mano, io una di queste, non possono credere che faccia sul serio. Cerco di mantenermi calma mentre la mia compagna di sventura minaccia già di chiamare i carabinieri perché è qui da più di un’ora. Io mi avvicino e chiedo di parlare con un responsabile e mi viene detto che lì non c’è nessun responsabile. Data l’insistenza si presentano due persone che non si qualificano, nonostante la mia richiesta, e prima mi dicono che non ci sono responsabili presenti in ufficio, poi che non possono darci nessun riferimento neppure per un responsabile generale dell’azienda (un’azienda senza alcun responsabile o possibile interlocutore con gli utenti si è mai vista? – penso perplessa-) e che, se vogliamo, possiamo inoltrare reclami alla sede centrale di Pisa. Anche alla richiesta di sapere almeno le generalità o quanto meno il codice di riconoscimento dell’impiegata dello sportello, mi viene risposto che tali dati non possono essere rivelati! Continuando a non sapere con chi stiamo parlando, insistiamo comunque che, avendo in mano uno dei numeri che son stati distribuiti contati, dobbiamo essere servite. Gli anonimi interlocutori vedono bene di unire al danno la beffa e insinuano un non ben chiaro e illegittimo commercio di numeri: la solerte impiegata ha denunciato una truffa! Tanto più, aggiunge uno dei due, le nostre facce lui non le ha viste quando personalmente ha ritirato la macchinetta distributrice e dunque com’è che abbiamo il numero? Cerchiamo più volte e inutilmente di far capire che non c’è stata nessuna falsificazione di numeri o inganno e io non so se prevalga dentro me l’incredulità per l’assurdità della situazione o il risentimento per esser trattata, oltretutto, da imbrogliona. Sono decisamente indignata. Esco con la mia compagna di sventura che minaccia una denuncia alla questura, possibilità che anch’io prendo in considerazione. Torno indietro e mi faccio dare i moduli per il reclamo a un altro sportello dove, da un impiegato ignaro di tutto, apprendo casualmente che uno dei miei due anonimi interlocutori è il capufficio, dunque il responsabile di quell’ufficio dal quale sto uscendo: COMPLIMENTI!

Antonella Tamburi

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