Lettera per mia nonna, morta in una “prigione”

Vorrei ringraziare quelle persone a cui mio padre ha chiesto aiuto, ha chiesto un interessamento al fine di risolvere la questione familiare, nella quale rientrava mia nonna. Una soluzione (tra l’altro già individuata) per migliorare semplicemente, la decorosità della vita già precaria di una donna inferma ed ammalata, che ha dato molto a questa società. Vorrei ringraziare quindi, in quanto istituzione, il Municipio (il precedente mandato, poiché l’ultimo non ha avuto il tempo di conoscere la situazione) e quelle persone con cui mio padre, ha avuto un confronto, da diversi anni, senza in realtà far niente di concreto, se non affermare: ”ci penseremo”, “non possiamo far niente”, ”abbiamo le mani legate”, “ci dispiace”, “vedremo di fare il possibile”, nonché quelle figure, preposte alle possibili soluzioni di dilemmi come questo, ma in realtà, vagano tra gli uffici di altri Enti, pensando di accontentare la cittadinanza con un falso sorriso. Vi chiederete perché ringraziare adesso, così in modo ironico?! In questa vita bisogna sorridere ed andare avanti a testa  alta, diceva mia nonna. Lei, questa mattina e deceduta nel suo  letto al civico 2 di via G. LaPira, quarto piano, nell’appartamento da cui alla fine di questa storia, non è voluta allontanarsi, ma che per motivi di salute, negli ultimi anni, poteva definirsi una prigione. Poiché mia nonna ha cominciato ad avere qualsiasi genere di patologia, dovuta suo malgrado, ad un tenore di vita appena sufficiente a sfamarsi ed a sfamare i suoi tre figli, nel corso della sua vita, nel tentativo di vivere a fianco di suo marito in modo decoroso, fino alla scomparsa di quest’ultimo. Da allora è stata segnata da un’irrefrenabile discesa, nella sua solitudine interiore e gli acciacchi, il vivere in gioventù dentro delle baracche, a ridosso del dopoguerra, il curarsi in modo approssimativo, vuoi il fatto che oggigiorno la salute è diventata una “scienza” complicata ed a volte controversa, vuoi lo star bene, è privilegio di coloro, che ormai hanno i soldi per curarsi. Tutto ciò l’ha portata a trovarsi su una sedia a rotelle ed a rispondere “maaa sì”, alzando la spalla, che in realtà significava “che vuoi che dica, è la vita”. Ma la drammaticità sta nel fatto, che nonostante gli sforzi di mio padre, mia nonna è rimasta al quarto piano di un appartamento di via LaPira. Il fatto spiacevole e commovente, è aver assistito la salita di quattro piani di un figlio a cui è morta la madre, una salita interminabile di circa venti minuti, perché mio padre è disabile, perché mio padre non riesce più a camminare come una volta. E’ stato colto da una sindrome particolare e dannata, che otto anni orsono lo ha immobilizzato per alcuni mesi e lo ha portato definitivamente a muoversi su di una sedia a rotelle. Grazie ad alcune cure, è tornato gradualmente a muoversi autonomamente, con appresso la sua carrozzina, e meritarsi qualche passo da solo. L’autonomia l’ha conquistata con la forza di volontà, la forza che proviene dal suo cuore, dal suo stomaco, la sua caparbietà, quelle stesse virtù che gli hanno permesso di salire quattro piani, con l’aiuto di mio zio e mio cugino, che lo hanno sorretto per raggiungere e per salutare sua mamma, con gli occhi già chiusi.

Massimiliano

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