La Buona Scuola? Sarà ottocentesca e aziendale con presidi manager

Il Presidente del Consiglio qualche giorno fa ha detto che per i professori è finita l’era del 6 politico. Peccato che se ne sia accorto solo ora: è da almeno quindici anni che gli insegnanti italiani, tra i meno pagati d’Europa, vengono bocciati quasi ogni anno con calci nel sedere legislativi e infamanti campagne di deligittimazione mediatica. E, come se tutto ciò non bastasse, il partito che ha vinto le ultime elezioni promettendo più rispetto per la scuola pubblica e per i suoi operatori, fa un clamoroso voltafaccia e si schiera compatto con quelli che negli ultimi quindici anni hanno sistematicamente colpito e umiliato l’istruzione pubblica. Il PD ieri ha votato insieme a Forza Italia e alla Lega contro l’emendamento alla legge della Buona scuola che proponeva di cancellare l’ultimo schiaffo alla dignità dei docenti italiani: l’art. 9, quello che prevede l’assegnazione degli insegnanti alle singole scuole non sulla base di graduatorie basate su criteri oggettivi, ma per grazia di sua maestà il preside. Al quale si dà anche il potere di elargire piccoli aumenti di stipendio ai “suoi “ insegnanti. Provate a immaginare, o voi che vivete in Italia, che cosa ne verrà fuori: una competizione sfrenata per avere le sedi migliori e un po’ di respiro sul piano economico, il trionfo del servilismo e della raccomandazione sulla competenza e sul rigore morale. D’altra parte, cos’altro c’era da aspettarsi da una maggioranza trasversale che non muove un dito contro gli evasori fiscali e i corrotti, sempre pronta a schierarsi con le grandi aziende contro i lavoratori, con la potentissima lobby delle scuole private contro la scuola pubblica – insomma: forte, severa e inflessibile con i deboli, ma debole, ammiccante e flessibile con i forti.
E non che non servisse una riforma: la scuola italiana così com’è non va bene, fa acqua da tutte le parti, è povera di mezzi, lenta, inefficiente, discriminatoria. Ma le cose si possono cambiare in meglio o in peggio. E questa riforma le cambia in peggio. Perché alla scuola italiana servono subito grandi investimenti – ad esempio, quelli necessari per avviare una capillare azione di interventi integrativi individualizzati – mentre quelli sbandierati dal governo sono solo finti investimenti di facciata: i docenti che saranno assunti prendevano già lo stipendio come precari, gli aumenti elargiti dai presidi sostituiranno gli attuali fondi d’istituto e così via. Se il parlamento approverà la legge in discussione, inoltre, dirà la parola fine al sogno sempre frustrato della scuola democratica della Costituzione: la scuola delle eguali opportunità, del libero sviluppo della persona e dello spirito critico; la scuola della collegialità, della cooperazione creativa, della corresponsabilità di tutte le parti in gioco. E costruirà invece la scuoletta asfittica e ottocentesca progettata a tavolino dagli (in)esperti della Bocconi e della Confidustria, la scuola-azienda dei presidi-manager al servizio non della comunità dei cittadini, ma dei governi e degli sponsor. Accelerando il processo storico che sta facendo sprofondare il nostro paese nell’arretratezza e nella barbarie.
C’è un unico modo per evitare questo disastro: resistere, resistere, resistere, come ci hanno insegnato a fare i partigiani. Non per distruggere, ma per fermare la mano dei devastatori e creare un futuro migliore.
Maurizio Sciuto, docente di storia e filosofia al Liceo Enriques di Livorno

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