Il Palio è un tesoro, le gare remiere vanno rilanciate. La mia lettera aperta alle istituzioni

Il Palio Marinaro 2013 si è disputato domenica scorsa e la stagione remiera è quindi terminata; manca ancora il Palio dell’Antenna ma, trattandosi di una gara di montatori e non di una gara di voga, non credo che nessuno si offenderà se tracciamo adesso un bilancio della riforma.
A pagina 7 della rivista di presentazione del Palio, il sindaco Cosimi e l’assessore Bettini tessono della riforma lodi sperticate, la definiscono democratica e partecipata e citano fra i principali pregi quello della lotta al doping. Affermano che il Palio, nel tempo, è cambiato più volte per seguire i mutamenti della città ma tralasciano di dire che nelle altre riforme furono convocate, come negli anni venti, le assemblee popolari mentre stavolta la cittadinanza non è stata coinvolta in nessuna maniera. Del fatto che ci siano stati anche quest’anno pochissimi armi giovanili, che poi è il vero e annoso problema del Palio Marinaro, tacciono. D’altra parte non si può mica notare tutto.
In particolare Bettini ne dimentica parecchie, di cose: non si è accorto, forse, dei quattro gatti che hanno seguito la coppa Barontini, il fiore all’occhiello in quanto a spettacolo delle gare remiere. Non si è accorto, probabilmente, che sulla Terrazza quest’anno c’era la metà della gente dell’anno passato, nonostante la massiccia presenza delle società di volontariato coinvolte. Non ha ascoltato, sicuramente, tutte le voci che sulle spallette chiedevano che fine avesse fatto il proprio rione.

A parole si possono dire tante cose, i politici non hanno certo niente da imparare in questo campo, ma poi i fatti sono altro. L’unica gara di successo è stata la Risi’atori, grazie però all’impegno del Borgo Cappuccini e non certo dell’Amministrazione. L’Assessore avrebbe fatto meglio a imparare da quell’episodio: nonostante la giornata uggiosa la tribuna da mille posti era piena, segno che la passione in città c’è ancora, basta saperla tirare fuori. Invece si tentano dei colpi da circo per inventarsi quello che avremmo già sottomano: il remo d’oro e il remo nero ne sono il più fulgido esempio. Da vogatori livornesi ci verrebbe da suggerire all’Assessore il più classico dei portaremi dove riporli entrambi ma si rischierebbe, come già successo al presidente dell’Antignano Bruno Mengheri, la querela. Non ci interessa scendere qui nei dettagli perchè si tratta di un fatto, oltre che personale, piuttosto pesante ma resta il fatto che nel nostro mondo chi va avanti a querele conferma che di Palio – e di Livorno – ci ha capito proprio poco: se fra cantine ci fossimo dovuti querelare per ogni offesa o minaccia di mani addosso avremmo dato lavoro a tutti gli avvocati d’Italia. Al Palio dell’Antenna probabilmente ci sarà il consueto folto pubblico – come prima della riforma, peraltro – speriamo che non sia confuso con l’entusiasmo per le gare remiere, che è un’altra cosa. Si dice che a Livorno non si accettano mai le decisioni, che si vive sempre all’insegna del “si stava meglio quando si stava peggio”, che non si sopportano i cambiamenti. Il Sindaco lo ha ripetuto più volte riguardo al nuovo ospedale, per esempio, ed è stato detto a proposito di questa riforma del remo. Si tratta di una lettura dei fatti soltanto parziale. E’ innegabile che siamo livornesi e che, perciò, vogliamo fare “cosa ci pare”, ma è altrettanto innegabile che chiunque mal sopporterebbe delle decisioni calate dall’alto, portate avanti senza processi democratici. Non si capisce come si possa definire “partecipata” una riforma che ha escluso totalmente la cittadinanza e non ha chiesto niente di niente alla componente dei vogatori. Partecipata da chi? Da tre Assessori dimissionari in sequenza? Dai Presidenti delle cantine che non sono stati eletti da nessuno? Alle pagine 3 e 4 della stessa rivista sono dettagliati tutti gli organi dirigenti del Palio: non c’è una singola voce che riguardi gli atleti anche se inizialmente una rappresentanza ci era stata garantita, come riportato nelle prime bozze delle nuove carte remiere. E se è vero che i presidenti hanno firmato, pur se sotto forte pressione e comunque non tutti, adesso non c’è una singola voce tra loro che sia a favore della riforma, basti leggere in proposito le interviste sul giornalino della Risi’atori. Questo non è sufficiente ai nostri amministratori per fare un passo indietro e un atto di riflessione? Ma di cosa hanno paura, della figuraccia? Un atto di ripensamento farebbe loro solo onore.

La riforma, dal punto di vista territoriale, va nella stessa direzione dell’eliminazione delle circoscrizioni. Con tutti i loro difetti, che erano parecchi, le circoscrizioni erano comunque il segno di una socialità distribuita nel tessuto cittadino. Socialità che è andata perduta e di cui invece, in questo periodo di crisi di cui non si vede la fine, ci sarebbe enorme bisogno. E’ solo dalla socialità, infatti, che si può passare alla solidarietà, è solo riconoscendosi parte di uno stesso territorio che poi si può tendersi la mano l’un l’altro: se i quartieri fossero vissuti come comunità, incontrandosi nei negozi, in chiesa, in palestra, in un centro sociale, a una sezione di partito e poi magari alla Terrazza sventolando la stessa bandierina, si innescherebbero processi virtuosi. Una struttura fortemente accentrata, al contrario, spinge gli individui a isolarsi e a trasformare i quartieri in “non luoghi”. Dubito fortemente che chi ci amministra abbia pensato a questi aspetti durante il complicato parto della riforma, visto che non lo hanno fatto nemmeno per la realizzazione della Porta a Terra – che ha mortificato il commercio locale – e del Nuovo Centro, “non luoghi” per eccellenza. Oppure ci hanno pensato e hanno deciso di prendere la direzione secondo la quale è lecito fregarsene allegramente delle identità rionali: avrebbero potuto dircelo prima delle elezioni, forse non li avremmo votati. E’ solo offendendo i rioni e la loro memoria che si spiega come mai, con gli accorpamenti, non siano stati salvati quasi tutti i loro nomi. Perché, e parlo da vogatore dell’Ovosodo, non abbiamo potuto chiamare il 10 con il suo nome e il 4 con il nome del Magenta invece che citarli sempre insieme? E che dire del “Livorno sud” dove il 10 è stato l’Ardenza (chiaramente identificabile dai colori) e il 4 l’Antignano ma dove nessuno ha potuto fregiarsi ufficialmente del proprio nome? E dove abiterebbero quelli che dovrebbero tifare Labrone? Lo avevamo proposto, non era difficile: potevamo gemellare le cantine dei 10 e quelle dei 4 mantenendo i nomi, almeno come facciata, in attesa di tempi migliori. Avremmo potuto sospendere le promozioni e retrocessioni per un anno o due e poi magari ricominciare. Avremmo potuto tifare. Avremmo potuto decidere insieme.

Tornando alla Barontini, una delle nostre proposte era quella di accoppiarla alla notte bianca, e l’assessore Bettini aveva acconsentito: niente da fare. Nei giorni precedenti la gara girava un volantino, ben fatto anche se non avvalorato da eventi di vero pregio, e nuovamente, come già detto per le due ultime Coppe Santa Giulia e per la Barontini dell’anno scorso e perciò cosa ben più grave, la manifestazione si è svolta troppo tardi, impedendo alle famiglie di assistere: come si può pensare di finire una serata all’una di notte? Possibile che non si impari mai niente dagli errori del passato?

Riguardo alla lotta al doping, sacrosanta, non sono stati resi noti i risultati dei test fatti dopo la Risi’atori mentre alla Barontini e al Palio di test non mi risulta ne siano stati fatti: spero di essere male informato io ma, essendo arrivato secondo al Palio, se avessero estratto a sorte uno di noi credo lo avrei saputo. In ogni caso, se non si pubblicizza la cosa a dovere, di che lotta al doping stiamo parlando? L’unico caso in cui si sarebbe potuto dare un segnale forte è stato quello che ha riguardato Mannucci del Venezia l’anno scorso ma la Sezione Nautica non è stata sanzionata e quindi si è fatto finta di credere che in cantina non sapessero della squalifica internazionale. Non ho intenzione di polemizzare con gli amici veneziani, dico solo a Sindaco e Assessore che prima di riempirsi la bocca di antidoping ci pensassero bene.

Parlando di Venezia, grande dominatore della stagione, si può rispondere a Pasqui che vedeva nella riforma l’occasione di rilanciare la competitività e di non vedere vincere sempre gli stessi. Premesso che in Italia, in campo sportivo, vedere vincere sempre gli stessi non dà alcun fastidio (l’albo d’oro del campionato di calcio contiene pochissimi nomi eppure il tifo non è mai andato in crisi), i risultati dicono che la speranza di Pasqui è andata delusa. Non sarebbe potuto essere altrimenti, visto che nelle cantine ci sono esattamente le stesse persone che c’erano prima: stessi vogatori e stessi dirigenti. La trasformazione in associazioni sportive, il reclutamento dei soci, la responsabilizzazione dei dirigenti… tutte chiacchiere: ci avranno cambiato il nome e la qualifica ma siamo sempre gli stessi. A proposito dei soci, poi, si è oltrepassato il segno del ridicolo con la progressiva riduzione del loro numero minimo, al punto che se ne è perso il conto. Dal coinvolgimento di chissà quante persone (si parlava di cento e oltre) si è arrivati a far firmare i soliti noti per poter gareggiare.
Il vero rilancio sarebbe stato vedere molti armi giovanili – cioè il nostro futuro – ma così non è assolutamente stato, e allora di cosa c’è da essere contenti? Forse che si sono viste finalmente otto barche a quattro in mare? Possiamo definire barche, ovvero equipaggi, delle gozzette che sono uscite qualche giorno per misericordia con a bordo le riserve del dieci? Che senso hanno delle barche così? Solo pochissimi rioni hanno potuto onorare i quattro allestendo degli equipaggi dedicati, gli altri hanno praticamente improvvisato. E che dire dei problemi irrisolti delle cantine? Sul Pontino si sta stretti in dieci, come si può allenarsi in quindici/sedici? Anche noi all’Ovosodo, e la nostra cantina non è certo tra le più piccole, abbiamo avuto enormi difficoltà quando ci siamo trovati in sedici ad allenarci con due barche da gestire, pulire, seguire in mare con le gabbianelle…

Vorrei poi sapere dove fosse il Sindaco Domenica 7 Luglio. Spero vivamente che non abbia potuto presenziare alla gara né alla premiazione per motivi seri: per dimostrare che il Palio è importante è molto meglio la presenza di un saluto dalle pagine di un giornalino. A proposito della premiazione, forse stavolta la mancanza di fondi ci ha aiutato, visto che all’inutile spettacolo dell’anno scorso in Fortezza Vecchia è stata preferita una premiazione semplice, alla livornese, alla Terrazza Mascagni. Non avrebbe guastato un gruppo livornese a fare un po’ di musica: alla festa per la serie A del Livorno suoneranno i Licantropi, non vedo perché non avremmo potuto invitarli anche per il Palio.

In generale, l’immagine del Palio non viene mai curata. Mai che, dopo una gara, i gozzi siano fatti sfilare davanti al pubblico, mai che si faccia una premiazione rapida dopo la competizione oppure, come nel caso del Palio, che si pensi a obbligare gli atleti a indossare una divisa sociale. Non si tratta solo di estetica ma di sostanza: aumentando la visibilità di barche e atleti aumenterebbe anche l’interesse di eventuali sponsor che magari quelle divise le comprerebbero volentieri. Troppo geniale, forse, per chi pensa di cavarsela, dopo aver rovinato tutto, con due frasi livornesi da tre soldi scritte sopra un remo.

Ad aprile prossimo ci saranno le elezioni, non resta che augurarsi che le forze politiche si accorgano del tesoro che è il Palio e propongano cose molto migliori di questa riforma, ovvero il ritorno ai vecchi rioni, il coinvolgimento delle scuole per favorire gli armi giovanili (tutti e sedici!), una sana promozione degli eventi e un profondo ricambio negli organi di comando, dove finalmente non ci sia la paura della presenza di noi atleti.

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