Il deposito di Paperone, ovvero come spostare l’attenzione dai problemi veri di Livorno

Ero piccolo quando mi fu regalato il primo abbonamento a Topolino. Ne diventai come molti miei coetanei fan sfegatato, anche se continuavo a chiedere ai miei parenti chi fosse la mamma dei tre nipotini e soprattutto come facesse un papero a tuffarsi su una montagna di monete senza spaccarsi la testa. Il deposito con lo stemma del dollaro, che sovrastava imperioso Paperopoli, mi ha sempre impressionato. Non mi sarei mai immaginato che, anni dopo, sarebbe diventato oggetto di discussione così accesa tra i miei concittadini e che addirittura il sindaco contattasse la Disney per realizzarne un clone in città. Ma tant’è. Premetto: a me l’idea di Caluri non dispiace affatto, in linea teorica. Voglio dire: se c’è un modo di portare alla città attrazione turistica, se esiste un sistema di far rimanere i milioni di turisti che sbarcano nella città ogni anno a Livorno, ben venga il clone del deposito di Paperone. Però c’è un però. Anche a Bilbao esiste Puppy, dirà qualcuno: maestosa scultura di fiori che disegna un cane enorme, e che milioni di turisti fotografano ogni anno. Si, certo. Ma essa si trova davanti ad uno dei musei più importanti del mondo, il Guggenheim, costruito in una città che di fatto non ha niente da invidiare alla nostra, a parte gli introiti indiretti derivati dal museo stesso. Paperone costruì il suo feudo di cemento proprio sulla collina più vistosa di Paperopoli, un po’ quello che è successo a fine anni trenta a monteburrone. Il basamento, come risaputo, avrebbe dovuto sorreggere una statua di 12 metri raffigurante il nostro illustre concittadino, detto “il ganascia” per la mascella prominente, per la fama di forte mangiatore e soprattutto per l’appetito affaristico (alla morte 1939 lasciò un ingentissimo patrimonio accumulato durante il fascismo). Certo, non si diventa il braccio destro di Mussolini a caso, eh. Benito lo nominò anche suo successore in caso di morte improvvisa. Niente male, non era certo un sempliciotto Galeazzo. Ma questa è storia, una delle più grigie del nostro paese, grigia proprio come il basamento in cima alla collina. Colorare quei mattoni pieni di erbacce e manie di grandezza sarebbe sicuramente un’ idea interessante. Trovo fuori luogo però questa ossessione di “mettere il cappello” sulle idee degli altri con il chiaro intento di riscuotere facili consensi: mi piacerebbe che il sindaco della mia città facesse meno proclami e più fatti. Mi aspettavo di salire sugli autobus e non pagare il biglietto; credevo che il metodo della meritocrazia e trasparenza restituisse al teatro della città un direttore generale dal passato illustre. Certo, non mi aspettavo l’arrivo dell’ex sovrintendente del teatro La Fenice di Venezia, ma da qui alla compagnia Artimbanco di Cecina il passo è davvero lungo. Il dibattito che si legge incessante sui giornali in questi giorni riguardo al deposito dipinto sul monumento a Ciano sposta di fatto l’attenzione su tanti altri gravi problemi della città. A livello complementare l’idea sarebbe buona, se prima si pensasse però a come rilanciare il museo Fattori, a come realizzare una mostra su Modigliani senza dover andare a Pisa, a come far risuonare nella città le note di Pietro Mascagni senza dover vedere ogni anno la solita Cavalleria Rusticana. Ecco, fatto questo, magari, con i dovuti cenni storici del caso, potremmo parlare anche del deposito di Paperone sulla collina, magari scomodando anche la Disney.

Marco Voleri responsabile Cultura del PD territoriale di Livorno

Riproduzione riservata ©