Gli 80 euro per il jazz del ministro Franceschini
Non vorrei fare il guastafeste, ma ancora una volta si sbaglia tutto e qualcuno più importante di me dovrebbe dirlo, e invece tutti zitti a raccogliere, come sempre, le briciole dalla tavola del padrone senza
coscienza civica, senza onestà intellettuale, senza coraggio. Come già il progetto di legge regionale Brogi sulla “musica popolare contemporanea toscana” (??) sostenuto da artisti come Pelù, Bollani, Irene Grandi, che abbiamo criticato in molti con raccolte di firme, proteste eccetera, questa mossa del ministro Franceschini fatta “insieme a Paolo Fresu” (da quando si stanziano soldi pubblici
“insieme” a qualcuno? Cos’è, un club?) è demagogica e errata e non risolverà niente: anzi, acuirà ingiustizie e inefficienze. Colpisce la leggerezza con la quale Fresu e altri hanno salutato questi che chiamerei “80 euro moltiplicato 6.250” come una manna. le mie obiezioni sono simili a quelle che, insieme a direttori di scuole di musica e di conservatori, musicisti, dirigenti di associazioni musicali, insegnanti e operatori abbiamo mosso verso il progetto di legge toscano firmato da Brogi.
1) Definire la musica per legge inquadrandola in “generi” è fuorviante, pericoloso, anacronistico e in ogni caso impossibile. Il Kronos Quartet che suona Monk fa jazz? Monk che suona un pezzo tutto scritto, è jazz? I concerti sacri di Ellington? Una performance di Han Bennik, fra improvvisazione e clownerie? Il progetto di Bruno Tommaso su Gesualdo da Venosa? Andiamo. Di queste cose discutevano già Mingus e Ellington negli anni ’60. Mai come oggi le barriere fra i “generi” sono labili (per fortuna) e superate. Cosa è “jazz”? Quali progetti sosterrà questo fondo? Quali non saranno sostenuti? Chi farà parte del gruppo di persone che definiranno un progetto “jazz” o “non jazz”? La stessa definizione di musica “classica” è inesatta, valida solo per la didattica e da prendere con le molle. Inserire un genere musicale in una legge è tipico di una dittatura. Questo provvedimento è decisamente populista. Un artista dovrebbe ribellarsi. Si deve sostenere la musica, non il jazz.
2) Chi ha stabilito i nomi delle persone che in rappresentanza del “jazz italiano” (ma non si rappresenta una musica, semmai i musicisti) hanno incontrato il ministro Franceschini? A nome di chi si sono
incontrate? Si rappresentano le persone su loro mandato, di solito, non di propria iniziativa. Chi è stato mai interpellato? “Associazioni jazz”? Quali? Esiste un coordinamento, o qualcosa di simile, delle
“associazioni di jazz” italiane? No. E perché Fresu? Fresu è forse sottosegretario all’istruzione, deputato, senatore, membro di una commissione specifica? Perchè non altri?
3) Chi ha stabilito quali saranno i festival sostenuti da questo fondo? In base a quali parametri un’iniziativa viene definita “festival jazz” e altre no? Chi cura i bilanci, le selezioni, le nomine per i direttori artistici di questi festival? Questi aspetti sono da sempre confusi. Spessissimo dietro questi elementi si
nascondono mafiette, nepotismi conclamati (musicisti che fanno carriera perchè sono figli di un noto promoter ecc.), incompetenze radicate eccetera. Questi soldi andranno ai soliti noti. Scommettiamo?
Ma sono soldi di tutti, giusto?
4) Franceschini parla di 500 festival in Italia. Chi ha contato i festival jazz italiani? Su che dati si basa? Non si scherza coi numeri. Che ricerche ha fatto Franceschini?
5) Cosa significa “italiano”, relativamente al jazz? Sono da sempre interessato a questa questione, ne scrivo e ne parlo da anni, ma dal punto di vista storico, stilistico, intellettuale, artistico. Non si puo’ certo attribuire un sostegno finanziario a un progetto di jazz solo se è “italiano” perchè, anche in questo caso, i confini sono
incerti e labili: un progetto di Rava con Palle Danielson è “italiano”? Facciamo finta di non sapere che da sempre il jazz è transnazionale, multiculturale, multietnico? Che facciamo, l’autarchia
90 anni dopo? I musicisti italiani di jazz sono “italiani” per nascita? Per residenza? Per domicilio?
6) Dire ancora che il jazz ha bisogno di sostegno perchè è considerata musica di serie B da istituzioni che invece sostengono la fantomatica “musica colta” è anche questo un argomento vecchio come il cucco e fuori luogo. Mai come oggi infatti tutte le musiche e tutti i rami dell’arte e della cultura in Italia hanno bisogno di sostegno. Orchestre chiuse, conservatori in crisi finanziaria e normativa, insegnanti precari a vita, università che cadono a pezzi, teatri squattrinati, e ora si trovano magicamente 500.000 euro per il jazz! I
soldi vanno destinati alla base della piramide: alle scuole, ai conservatori, alle bande, a progetti di diffusione della musica di base e della cultura musicale diffusa, ormai rasa al suolo. E di soldi ne vanno trovati 100 volte di più. 500 festival, abbiamo detto? Che facciamo, mille euro a festival? E’ uno scherzo? Nei paesi civili si stanziano sì i soldi per i festival jazz, ma su basi completamente diverse, molti di più e molto meglio.
Tutto cio’ mette a nudo una ormai sconcertante incapacità di sostenere davvero la cultura da parte del governo di oggi come dei governi italiani di sempre e nasconde come sempre abitudini orribili come
patti nascosti, una selezione che non c’è e che non è quasi mai meritrocratica e altre porcate diffuse nel jazz italiano come in tutti gli altri angoli del paese dei furbi. La cultura si sostiene sostanzialmente attraverso la formazione, l’informazione e l’istruzione. Quando il sistema musicale italiano sarà decente, allora potremo parlare di sostegno ai festival da parte del governo centrale. Ed è veramente surreale che a ricordare queste cose, in questa occasione, sia un jazzista.
Andrea Pellegrini
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