Fondazione Goldoni: scegliere un direttore nell’A.D. 2014

Da sempre la scelta dei ruoli direttivi di un teatro pubblico ha calamitato le attenzioni della classe politica e culturale di ogni città che abbia vissuto questo passaggio. Perché, nella scelta del nome, si possono quasi magicamente leggere le linee culturali che la città, volente o nolente, dovrà adottare per gli anni successivi. Diventa quindi politicamente rilevante chi – e soprattutto come – debba essere scelto e – proprio in quanto politicamente rilevante – sarebbe importante che nella scelta, quantomeno in una dimensione di confronto e consiglio, fosse coinvolta la comunità stessa e le varie figure che la rappresentano: a cominciare dal Sindaco per continuare con gli assessorati competenti fino ai singoli operatori del settore. In questo senso sarebbe auspicabile che periodicamente, e soprattutto in occasioni di scadenze e eventi di rilevanza pubblica, una città convocasse quelli che potremmo definire come gli “stati generali della cultura”.

Infine, demandare le scelte all’indizione di un bando pubblico dovrebbe mettere al riparo dall’eventualità di nomine squisitamente politiche.

La gestione del Goldoni, il più grande teatro cittadino, vive da anni e anni di “bertinismo”, ovvero di una gestione, amministrativa e artistica, nata dal sodalizio tra le più recenti amministrazioni PD e la rilevante figura di chi una volta era stato assessore al turismo e commercio della nostra città, figura già collaudata nell’allora CEL. Questa semplificazione in realtà racchiude in sé non tanto, e non solo, la rappresentazione tutta nominalistica dell’operato di un Direttore Generale quanto l’insieme dei rapporti professionali e politici, dei criteri gestionali e artistici, delle alleanze e dei giochi di ruolo che in maniera profonda hanno segnato la vita culturale (e non solo) della città. Prima come assessore, poi come presidente della Fondazione Goldoni e infine come Direttore Generale della stessa, quella direzione ha per lungo tempo influenzato l’umore culturale della nostra città.

Sappiamo bene che la vita della Fondazione Goldoni dipende sia dal suo ruolo di teatro di tradizione, ovvero un teatro cui vengono riconosciuti un ruolo e una funzione pubblica nel mantenimento e nella riproposizione di elementi della tradizione lirica nazionale, sia da una serie di contributi istituzionali territoriali (tra tutti quello della Fondazione Cassa di Risparmio) sia, in ultimo – anche per ripianare eventuali disavanzi – da quanto il Comune assicura economicamente ogni anno. Tutte queste risorse sono ovviamente convogliate sulla maggiore istituzione culturale cittadina che implicitamente, ma diremmo anche moralmente, dovrebbe, attraverso la sua rete di rapporti e collaborazioni, riversarle sulla città e sulle sue più significative esperienze culturali. Questo è il dato di fatto, che non vuole mettere in discussione il bilancio della Fondazione (e quindi il merito o meno dei lavoratori amministrativi e non, cui va invece tutta la solidarietà per la situazione di stallo in cui sono tenuti in questo momento, e sottolineiamo l’assoluta preparazione e professionalità del comparto dei tecnici di palco e amministrativo) bensì la corretta allocazione di tali risorse.

In un modo o nell’altro la precedente conduzione non ha saputo far sì che il carico finanziario pubblico del Teatro della nostra città non fosse sentito e percepito come “immotivato”, un peso insostenibile per una città con grandi urgenze di ordine sociale ed economico, con il risultato aberrante di contrapporre una comunità già dolente per le generali condizioni economiche alle sue istituzioni culturali. Perché gruppi di base, associazioni e compagnie livornesi, a fronte di questo enorme drenaggio di risorse sul territorio, difficilmente hanno trovato nel Teatro Goldoni (che alla città ha offerto una programmazione spesso discutibile) un’accoglienza e un sostegno reali e stimolanti a progetti, proposte e collaborazioni. In maniera del tutto dissimile da quella dei teatri pubblici omologabili (Verdi di Pisa e Giglio di Lucca), le modalità di accesso ai servizi del teatro e le opportunità di collaborazione con lo stesso sono rimaste negli anni economicamente inaccessibili ai più: costi elevati di affitto sala, indisponibilità di spazi, farraginosità ed eccessi burocratici nella conduzione delle collaborazioni. Da tutto questo dobbiamo rapidamente guarire.

Adesso abbiamo un teatro pubblico che deve, in modo prioritario, costruire ex-novo rapporti e modalità di cooperazione con la propria città e che sia più o meno contestualmente in grado di proiettarsi nella vita artistica e culturale nazionale e internazionale. La stessa nuova amministrazione ha più volte rimarcato la volontà di rilanciare il ruolo chiave del nostro teatro che, nelle intenzioni, dovrà costituire la nuova e più vigorosa cerniera di tutte le attività culturali (produttive, artistiche, formative) diffuse sul territorio.

In virtù di queste riflessioni e ritornando all’inizio di questo nostro intervento, si capisce come la scelta della carica direttiva del Goldoni sia da considerare strategica. E qui apriamo una parentesi: ci avrebbe fatto piacere parlare di rinnovo delle cariche, al plurale, convinti come siamo che a una struttura come quella prima descritta servano due figure dirigenziali: una, quella del Direttore Generale, che possieda competenze amministrative e manageriali in relazione sia alle risorse economiche sia a quelle umane e l’altra, quella del Direttore Artistico, figura autorevole e riconosciuta dagli altri soggetti cittadini operanti nel settore come capace di equanime interlocuzione, che garantisca competenza in ambito lirico (competenza che resta e resterà imprescindibile del nostro teatro), con solidi e comprovati rapporti con il mondo teatrale nazionale.
Entrambe le figure, a nostro avviso, dovranno contribuire a una nuova politica anche di ordine produttivo che, gradatamente, permetta al nostro teatro di scambiare prodotti culturali con gli altri soggetti nazionali e internazionali, garantendosi così risorse finanziarie autonome derivanti dalla produzione artistica interna e caratterizzandosi come polo di produzione di riferimento anche per altri soggetti ospiti. Una caratteristica, questa, che si potrebbe allargare ad altri ambiti e strutture della città: dal cinema alla musica all’arte figurativa in genere, passando per la grafica ed il design.

Al momento, però, lo Statuto della Fondazione prevede solo un Direttore Generale con in mano tutto il pacchetto e con la completa e del tutto discrezionale facoltà di affidare a chi vuole i comparti di settore (lirica, formazione, etc). In virtù di questa quasi assoluta discrezionalità, quindi, e con la prospettiva magari di mettere in futuro mano alla Statuto stesso, la scelta del DG è secondo noi ancor più delicata, soprattutto considerata la fase storica che Livorno sta vivendo.

La discontinuità netta col passato e con le modalità della precedente amministrazione dovrebbe essere alla base dell’importante scelta che il Sindaco e il consiglio di amministrazione si apprestano a fare.
Non è una scelta semplice: ma è certo che un curriculum e una chiacchierata non potranno sciogliere questi nodi in modo definitivo e inattaccabile.
È necessario che le modalità di nomina siano trasparenti, verificabili e valutabili in modo chiaro e inequivocabile. Dalle voci che si rincorrono sui mezzi d’informazione ci sembra di capire che l’idea di un bando ad hoc, da passare al vaglio di una commissione competente, sia naufragata. A maggior ragione occorrerebbe sì valutare i curriculum ma affiancandoli a progetti su cui i candidati siano in grado di spendersi con competenza e senso di responsabilità.

È necessario valutare le nomine in base a:

· esperienze maturate dai candidati in merito alla vocazione primaria di un teatro di Tradizione come il Goldoni, quindi esperienze nel campo della Lirica;

· rapporti esistenti tra i candidati e la nostra città, che riteniamo fondamentali per costruire da zero una macchina culturale che si componga di tutte le esperienze artistiche che attraversano e vivono la città stessa;

· rapporti e esperienze che legano i candidati al territorio nazionale;

· esperienze maturate e comprovabili di gestione amministrativa ed economica.

Questi semplici quattro punti dovrebbero infine essere arricchiti dalla stesura di un progetto culturale, dalla messa in campo di linee guida in merito a future produzioni e dalla definizione di un piano d’impresa che evidenzi la volontà di fare della macchina culturale cittadina anche un volano economico vitale, capace di alimentare buone pratiche e buoni rapporti e che sappia davvero sostenere tutte le realtà artistiche cittadine che, almeno negli ultimi dieci anni, sono state trattate con un insopportabile preconcetto di subalternità e “minorità” artistica e culturale.

 

Il Direttivo e il Laboratorio culturale permanente “distretto creativo” di Buongiorno Livorno

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