“Ecco cosa significa essere senza lavoro e non poter costruire famiglia a 30 anni”

Ma che cosa vuol dire essere senza lavoro realmente? Non potersi pagare un affitto? Non potersi permettere una famiglia a trent’anni? Non potersi sostenere economicamente da soli? Sì, anche ma c’è molto di più. Essere senza lavoro significa sentirsi inutili, inappropriati, vuoti. Non è solo quel senso di incertezza sul futuro che pesa ma anche quel senso di angoscia permanente, che talvolta si trasforma in ansia, di non avere un ruolo in questa società. Non c’è nessun posto in cui serviamo, nessuna responsabilità da avere, nessun comportamento da tenere, nessuna creatività da esprimere. Niente, siamo niente e sempre inadeguati. Se abbiamo il diploma scientifico, serve quello da perito; se abbiamo una laurea e abbiamo fatto certi esami ne servono degli altri; se conosciamo bene una lingua, ci vuole la conoscenza ottima o di un’altra lingua che normalmente non si studia. Se cercano camerieri dobbiamo avere l’haccp; se cercano commessi, almeno svariati anni di esperienza e doti spiccate di vendita; se cercano un informatico, dobbiamo conoscere diversi linguaggi di programmazione. E allora studiamo, facciamo corsi che ci specializzino ma il tempo passa e iniziamo a non essere più giovani ma nemmeno dei senior con anni di esperienza. Se riusciamo finalmente a soddisfare tutti i requisiti, stai pur sicuro, che cerano o neolaureati/neodiplomati o in età dell’apprendistato. Ma allora? Allora cerchiamo di riempirci le giornate uscendo, vedendo gli amici, seguendo gli hobby ma non basta! Questo dovrebbe essere il riempimento di una giornata, il momento di relax e non può essere il punto clou di una vita. O peggio ancora restiamo in casa e finiamo con l’imbambolarci fissando il vuoto rassegnati al proprio destino e piano piano la voglia di fare qualsiasi cosa se ne va trascinandoci sempre più giù.
Non avere un lavoro lede alla nostra mente, alla nostra psicologia, alla nostra anima. Non avere lavoro significa svuotare l’anima di un uomo che non ha più una dignità, non ha più un orgoglio, non ha più una vita e non ha più voglia di niente, nemmeno di vivere. Rimane un corpo senza più sostanza che è nelle mani della speranza e della fortuna di un nuovo concorso, di una nuova assunzione. Non importa più se il lavoro gli piace o no, se è affine agli studi o no, se lo soddisfa o lo disgusta, è in attesa di qualcosa di nuovo a cui disperatamente poter mandare il curriculum; e se fortunatamente è chiamato per fare un colloquio quel giorno deve essere al top, deve fare credere che vale il mille per cento, che è indistruttibile, che sa fare ogni cosa e che non ha debolezze (umane). E l’ansia cresce…
E’ bene che tutto questo venga conosciuto da chi decide di non fare assunzioni perché meglio far lavorare gli anziani che hanno già esperienza, da chi decide che l’apprendistato è fino a 29 anni, da chi decide che concorsi e stage sono aperti solo ai neolaureati, da chi decide di non voler puntare sui trentenni che sono ancora giovani (ai quali meno possibilità si dà di lavorare e meno esperienza avranno e gli anni aumenteranno sempre più).
E’ bene che loro sappiamo che non stanno semplicemente evitando di farci fare una vita e di essere autonomi ma che stanno distruggendo l’anima di intere generazioni che faranno figli sempre più tardi, che saranno sempre più a rischio di avere malattie (è risaputo che una gravidanza in età avanzata è rischiosa); e i genitori moriranno sempre prima a causa dei tumori e la società imploderà su se stessa. Ma chi si occupa di queste cose continui pure a dormire sogni tranquilli tanto lui il posto di lavoro ce l’ha, quel posto di lavoro che ci aiuterebbe ad avere coscienza di noi stessi e degli altri, che ci renderebbe vivi, che ci farebbe sentire unici e indispensabili.

Isabella Bonciani

 

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