Cibo sprecato, a Livorno serve un piano di recupero

La cultura del recupero non passa per un articolo di legge. Certo le norme aiutano, soprattutto quando rendono più conveniente per un’azienda il dono dei pasti in esubero. Incentivi che però nel nostro Paese non ci sono ancora. Ma la questione è ben più complessa della semplice dicotomia obbligo di legge-libertà di dono, quando si tratta di enti pubblici: in Italia da 11 anni viene concessa la possibilità per le onlus di recuperare il cibo equiparandole al consumatore finale, sollevandole dalla cosiddetta “responsabilità di percorso”.

Un traguardo che ha permesso nel 2003 la nascita di Siticibo, il progetto del Banco Alimentare per il recupero di pasti pronti da mense aziendali, scuole e ospedali. Nelle Asl, Rsa e ospedali, ad esempio, finisce nel secchio il 40% del cibo dei pazienti. Il danno per la spesa pubblica sanitaria, quindi per il contribuente, è enorme, perché questi pasti costano dai 12 ai 18 euro. Poiché, stando al rapporto del ministero della Salute, ci sono 11 milioni di ingressi in corsia l’anno con durata media 6 giorni, la spesa annua per i pasti dei degenti è circa 1 miliardo di euro. E quindi pasti per circa 400 milioni vengono sprecati.

La donazione del cibo avanzato è regolamentata dalla legge 155 del 25/06/2003: la frazione organica di rifiuti può prolungare il proprio ciclo di vita, trasformandosi in donazione a scopo sociale. In italia esistono progetti di recupero del cibo e riuso per somministrazione umana ed animale come  Milano Ristorazione, RE.T.E SOLIDA*, un progetto di recupero delle eccedenze alimentari che interessa la provincia di Padova e Rovigo. A Verona il progetto analogo si chiama REBUS.

Occorre sviluppare anche a Livorno un progetto di raccolta e distribuzione che coinvolga l’amministrazione comunale e il terzo settore, in modo da sostenere le persone in gravi difficoltà economiche, ridurre i costi per lo smaltimento dei rifiuti ed occuparsi di gestire le rimanenze non distribuibili (cibi non integri o avanzi di cibo che non possono essere somministrati) ricavando elettricità dalla lavorazione degli scarti alimentari, come ha recentemente fatto la catena Salisbury in Inghilterra, che e’ diventata energicamente autonoma grazie ad un impianto di digestione anaerobica.

Elena Salvestrini – Resistere! Azione Civica 

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