Centro Politico 1921: sì all’amnistia sui reati sociali
Il 13 luglio 2012 la Corte di Cassazione si è pronunciata nel processo riguardante gli imputati per le proteste del G8 di Genova sancendo che l’ordine pubblico fu messo in pericolo da 10 persone condannate per “devastazione e saccheggio” e comminando pene fino a 15 anni di reclusione. Nella sentenza la Corte afferma che l’ordine pubblico “deve essere inteso come buon assetto e regolare andamento del vivere civile”. Ci pare evidente che il “buon assetto e regolare andamento del vivere civile” nel nostro paese non esista più. La crisi del sistema economico capitalista che stiamo vivendo, non solo ha prodotto e produce sempre maggiori diseguaglianze sociali, ma obbliga le classi dominanti a portare attacchi sempre maggiori nei confronti di chi mette in discussione lo status quo, proprio per mantenere in vita quest’ultimo. Istituzioni, partiti e sindacati anziché cercare risposte alle aspettative di milioni di persone hanno assunto il ruolo di contenerle e reprimerle con misure legislative e giudiziarie volte a colpire i comportamenti sia collettivi che individuali connotandoli come attentati all’ordine pubblico o come pericolosità sociale dell’individuo. La “ragion” di uno Stato governato e manipolato da una economia parassitaria ha cambiato anche la funzione tipica del diritto penale, ovvero quella di salvaguardare i diritti fondamentali delle persone, e lo ha messo contro chi di questi diritti fondamentali ne chiede l’applicazione e il rispetto.
La questione della repressione quindi non può essere affrontata all’interno di una piccola cerchia di interessati. I terribili fatti accaduti in questi anni: Aldrovandi, Cucchi, Franceschi, i processi al movimento NO TAV, le leggi speciali sulle discariche ci confermano che ormai la repressione è l’unico strumento rimasto in mano allo stato per applicare i diktat economici imposti. Altra conferma di questa tesi la troviamo nella composizione sociale dei detenuti nelle carceri italiani. Il caso “Cancellieri” altro non è che l’esempio più lampante di come una classe sociale parassitaria può avere favori anche in carcere e dopo severe condanne, e di come un’altra classe in carcere muore o viene torturata nell’indifferenza generale.
Il CP 1921 sente l’esigenza di confrontarsi su questi temi sia con chi è colpito quotidianamente dalla repressione sia con quelle organizzazioni che hanno allargato il tema dalla stretta cerchia dei militanti. L’associazione ACAD ci racconta come la forza dello stato colpisca e si accanisca contro un’intera classe sociale spesso inerme contro soprusi e ingiustizie. In ogni momento della nostra vita, come le storie di Massimo Casalnuovo e Daniele Franceschi ci raccontano, la repressione e l’abuso fino alla morte sono presenti e soprattutto lontane dall’essere “incidenti” come troppo spesso ci vogliono far credere. Se da un lato viviamo questa realtà dall’altro dobbiamo lottare con ogni strumento affinché l’apparato coercitivo venga quantomeno allentato. La composizione di classe dei detenuti nelle carceri, le 17.000 denunce legate alle lotte sociali, i provvedimenti che in ogni modo limitano le libertà individuali, fino ad arrivare alla legislazione speciale negli stadi ci impongono una riflessione. La proposta quindi di una amnistia sui reati sociali ci pare un buon inizio e uno strumento in più con il quale continuare la lotta agli abusi e alla violenza di stato.
Centro Politico 1921
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