Assalto alla Prefettura. Buongiorno Livorno: “Sentenza politica”

Oggi al Tribunale di Livorno siamo tanti, tante. Il silenzio però è fragoroso, e non solo perché nell’aula della sezione penale è pressoché impossibile sentire bene quel che verrà detto di lì a poco ma anche, e soprattutto, perché le facce parlano ben più delle parole. Alle 11.30 il presidente del Tribunale Angelo Perrone, in chiusura dell’ultima udienza del processo per i presidi e le manifestazioni del 30 novembre, 1 e 2 dicembre 2012, “in nome del popolo italiano” condanna tutti gli imputati a un totale di trentaquattro anni di pena (addirittura, a un imputato per il quale la stessa pm aveva chiesto l’assoluzione vanno sei mesi), al pagamento di circa 30.000 euro fra spese processuali e risarcimenti agli esponenti delle forze dell’ordine rimasti coinvolti e ne interdice un altro per cinque anni dai pubblici uffici.
Ci sono novanta giorni per ricorrere in appello e impugnare tutte le disposizioni della sentenza, cose che sicuramente avverranno, e fino a quel momento tutto è sospeso. Nel frattempo però possiamo ben definire questa sentenza, e per farlo scegliamo tre aggettivi.
È una sentenza politica, e vi spieghiamo perché ne siamo convinti.

Nella nostra città si possono buttare in mare 198 fusti strapieni di rifiuti tossici e farla franca – tutti assolti, TUTTI: nessun disastro ambientale, nessun risarcimento, niente – perché “il fatto non sussiste” (17 marzo 2015); nella nostra città non sussistono nemmeno i 140 morti del Moby Prince, per i quali, percorsi tutti i gradi di giudizio, nessuno è responsabile; nella nostra città si possono costruire ordigni esplosivi in un garage dell’Attias, lasciare che scoppino ed essere condannati al solo obbligo di firma due volte a settimana, senza che da oltre due anni se ne sappia più nulla; nella nostra città, venendo alla più spicciola delle cronache, non ci risultano a tutt’oggi (e saremmo lieti di essere smentiti) procedimenti in corso nei confronti di chi era presente, a vario titolo, alle aggressioni gratuite e alle gravi violenze avvenute all’esterno di alcuni locali della movida livornese (episodi, questi ultimi, per i quali sui media non mancano fotografie, video, testimonianze). In una città come questa, che è la nostra, vedere una giustizia che colpisce con tutta la sua forza solo ed esclusivamente una determinata parte – che non inquina, che non manda al rogo, che non fabbrica ordigni, che non usa armi da taglio piena d’alcool fino agli occhi – vuol dire assistere all’uso di due pesi per due misure, comportamento indegno di un Paese che vogliamo ancora definire civile.
È una sentenza pesante. Il Tribunale di Livorno, si sa, assolve immancabilmente chiunque abbia un minimo (o non minimo) potere. Ma interdire una persona dai pubblici uffici per cinque anni (il periodo massimo fissato dalla legge) vuol dire privarla dei suoi diritti di cittadino; estrometterla, di fatto, da molte forme della vita pubblica, impedirle di candidarsi, votare, svolgere funzioni di tutore. Dirle, in buona sostanza: per cinque anni per noi tu non esisti più. Questo essere forti con i deboli e debole coi forti non è giustizia bensì un mix micidiale di protervia e servilismo.
È, infine, una sentenza miope, peggio, cieca, che non vede al di là del suo naso, dove il re è – ai nostri occhi che cercano di avere vista lunga – sempre più disperatamente nudo.
Fiamma Lolli per il Direttivo di #BuongiornoLivorno

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