Docente, lavoro difficilissimo e ricco di responsabilità

Una maestra sessantenne viene arrestata per maltrattamenti nei confronti di bambini che frequentano una scuola dell’infanzia. Nei giorni scorsi una docente elementare 55enne per gli stessi motivi. Qualche mese fa, un’educatrice dell’asilo nido costringeva i più piccoli a mangiare controvoglia e ad ingoiare gli eventuali bocconi sputati. Altrove, docenti esaurite, o “schizzate” colpiscono con ceffoni maldestri creature inermi. Scene raccapriccianti ma reali, che tristemente riguardano insegnanti, ormai stanche, stressate, talvolta inconsapevoli “torturatrici”, che non hanno più le forze necessarie, probabilmente, per confrontarsi con un mestiere complesso, nel tempo sicuramente logorante. D’altra parte questa è una professione-missione che richiede grande senso di compartecipazione, che non può essere affrontato con frustrazione, con disagio e con assenza di “energie”. Non ti permette, oltretutto, di abbassare mai la guardia!
Richiede un’elevata dose di “costruttiva” sopportazione e pazienza, che, peraltro, si acquisiscono anche attraverso una maturazione del proprio percorso professionale. Tale attività, se non viene vissuta quotidianamente con passione e con “responsabile” altruismo, rischia di diventare un calvario e cagionare danni irreversibili alle più giovani generazioni. Certo, qualcuno potrebbe osservare: “E’ facile parlare, bisogna trovarsi nelle situazioni!”. Senz’altro è un mestiere difficilissimo e non sempre si è adeguatamente supportati. Tuttavia proprio perchè non si tratta di gestire un banco di ortofrutta (con tutto il rispetto), devi essere in grado, “volente o nolente”, di costruire, di promuovere significative relazioni umane e formative con soggetti in crescita, che devono essere aiutati a diventare persone autonome e sicure.
Ben sappiamo come il lavoro di docente sia molto impegnativo, come rientri nella categoria delle cosiddette “helping professions”, ossia delle “professioni d’aiuto”, che espongono ad una indiscutibile usura psicofisica. Oggi, peraltro, lo scarso riconoscimento sociale ed economico, la crescente pressione esercitata da famiglie e da “direttive istituzionali”, la richiesta di un intervento sempre più “totalizzante” (che va ben oltre la pura sfera didattica) ingenerano nel docente un “carico psicologico”, un disarmante senso di impotenza-smarrimento, una “perdita di senso nel proprio lavoro”, che possono determinare vere e proprie patologie mediche.
Negli ultimi anni si è parlato frequentemente di burnout, che colpisce soggetti impegnati in campo sociale, tra cui educatori-insegnanti. Il lavoratore “colpito” tende a sfuggire all’ambiente lavorativo, comincia ad assentarsi in modo frequente e abituale, lavorando con sempre minore entusiasmo e a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché azzerando la necessaria empatia nei confronti delle persone di cui dovrebbe occuparsi. Il burnout si associa, in misura progressiva, ad un deterioramento del benessere fisico, a sintomi psicosomatici come l’insonnia e psicologici come la depressione. Tuttavia, ovviamente, nulla può giustificare gli emblematici episodi riferiti nella parte introduttiva.
Comunque sta di fatto che, come fa notare anche l’articolo 28 del “Testo unico per la tutela della salute nei posti di lavoro” del 2008, anche l’età del lavoratore costituisca un allarmante fattore di debolezza, specialmente nel campo della docenza. Infatti trovarti a 65 anni, ad un’età da nonno, discoletti della prima infanzia, risulta un’operazione proibitiva e forse “innaturale”. Pensiamo ad una nonnina che, non raramente, si trova in difficoltà a gestire lo spavaldo nipotino per qualche ora. Che pretendiamo da una signora, ben oltre la mezza età! Che riesca “a contenere” il vigore di tumultuosi e superenergici ragazzini? O che abbia la forza, quando necessario, di separare alunni indisciplinati, mentre, magari, si stanno azzuffando (anzi, meglio di no, visto il caso clamoroso, ma paradossale, accaduto ad una zelante e premurosa maestra della nostra provincia, intervenuta per porre fine ad una lite “accaldata” tra due allieve!)?
Il legislatore non dovrebbe fermarsi a riflettere, favorendo “l’opportuna rottamazione”, o meglio l’indispensabile ricambio generazionale? Se pensiamo alla voce “anagrafe”, i docenti italiani sono in media i più vecchi al mondo: il 65% supera i 50 anni (e una parte consistente supera i 60), con una percentuale che si attesta attorno al misero 0,27% per quanto concerne gli under 30.
Insomma insegnare, che proprio nel suo significato etimologico e cioè “imprimere dei segni nella mente”, implica responsabilità altissime! Tuttavia si possono lasciare indelebilmente, nel bene o nel male, “impronte” virtuosamente costruttive o, ahimè, traumaticamente distruttive…
Claudio Riccadonna Ala

 

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