La scrittrice Paggini a Effetto Venezia con “Pesante come una piuma”
di Sandra Mazzinghi
Sabato 1 agosto, alle ore 21, nell’ambito di Effetto Venezia (Fortezza Vecchia, Sala Ferretti) una scrittrice labronica presenterà il suo ultimo libro “Pesante come una piuma”. Si tratta di Laura Paggini, e noi di Quilivorno.it siamo stati curiosi di incontrarla, di sapere cosa e come scrive Laura Paggini è bella. Una bella donna sorridente, affabile e limpida. Si sente che ama la scrittura, e che ama la vita. Il suo modo di parlare è musicale, sorride sempre, anche con gli occhi, e sentiamo dalle sue parole quanta umanità possa aver provato e visto.
Tre aggettivi per descrivere Laura come donna
Una mia amica mi ha definita: sensibile, emotiva, testarda. Penso che mi conosca bene.
E come scrittrice?
Impulsiva e insieme meticolosa. Un mix esplosivo che mette a dura prova le mie coronarie.
Il libro della tua vita?
Un manuale che consigliò il professore di filosofia al liceo: “Che cos’è la psicologia” scritto da Pierre Dacò. Lo comperai incuriosita; erano i primi anni ’70 e la psicologia non era ancora tanto diffusa. Da ragazzina infarcita di problemi quale ero, decisi che avrei sottolineato tutte le situazioni nelle quali mi sarei rispecchiata… alla fine non c’era una riga che non fosse sottolineata. Quel manuale è diventato il libro della mia vita, perché ha dato inizio ad un percorso dentro di me e attorno a me che ancora mi accompagna e che mi ha aiutata e mi aiuta ad aprirmi agli altri e a non fermarmi di fronte alle apparenze.
Il libro che avresti voluto scrivere?
Non mi è mai capitato di pensare, dopo aver letto un libro che mi ha coinvolta, che mi sarebbe piaciuto esserne stata l’autrice, forse perché l’ho sempre vissuto come un dono, qualcosa di grande che posso solo ammirare. Me lo lascio volare dentro grata e compiaciuta, sapendo che tornerà a parlarmi quando meno me lo aspetterò.
Il tuo ultimo libro, di cosa parla.
A parlare è proprio il protagonista, un ragazzo che ricorda la sua prima vacanza “da grande”, finalmente senza i genitori. Entusiasta e timoroso insieme, lo troviamo avviarsi con i compagni alla conquista della propria indipendenza. Ma quella che sembra essere la tipica esperienza iniziatica preadolescenziale si trasformerà, grazie all’intervento di una figura simbolica, un barbagianni, in un’esperienza di crescita molto più grande. Gianluca, questo il suo nome, ospite nella dismessa sede estiva del seminario vescovile di Grosseto, si troverà a vivere lì l’inverno del 1943 e la primavera successiva, quando il luogo fu adibito a campo di concentramento per famiglie ebree. Il ragazzino “dei giorni nostri” giocherà con i bambini di allora e si rivolgerà tante domande che spero facciano proprie anche i ragazzi e non che leggeranno il libro. Domande semplici e forse per questo ormai trascurate da tanti adulti. Progressivamente Gianluca sposterà l’attenzione dal sé e acuirà la sensibilità verso il prossimo, fino a diventare “cavaliere di memoria”, innalzando come una spada la piuma del barbagianni oltre chi ha preferito scegliere l’indifferenza, soffocando tutti e tutto nell’oblio.
E come è nata l’idea.
E’ nata dall’incontro di una storia personale, proprio la prima vacanza da solo di mio figlio, con la storia. L’impianto è fantastico, ma è vero che Gianluca è stato ospite nell’ex seminario di Roccatederighi in provincia di Grosseto, così come è vero che questo era stato adibito a campo di concentramento; allora però non ne sapevamo niente. Dopo anni, mi sono imbattuta casualmente in un articolo che ne parlava. Superato il primo momento di stupore, ho iniziato le ricerche fino a reperire molti documenti originali, attraverso i quali ho potuto ricostruire la storia di un campo che in tanti hanno voluto tenere nascosta, perché troppo scomoda e sconcertante: unico in tutta l’Europa occidentale ad essere installato nel possedimento di una diocesi, con tanto di contratto di affitto ed operante ancor prima che fosse emanato l’Ordine di Polizia numero 5. Vi furono internate tante famiglie, tra cui due livornesi sfollate nel grossetano. Per loro e per tutti i non grossetani non venne mosso un dito e nessuno tornò da Auschwitz dove furono deportati. Raccogliendo la documentazione, mi sono chiesta semplicemente dove fosse scritto che mio figlio, che ha dormito dove avevano dormito quei bambini, che ha giocato dove loro avevano giocato, sarebbe nato qui ed oggi e per questo avesse potuto fare ritorno. Troppi adulti hanno offeso quei bambini, promettendo protezione e regalando l’abbandono, così mi è venuto spontaneo restituirli almeno alla memoria, far loro incontrare nuovi amici e farli presentare da un ragazzo come loro, dal cuore pulito, onesto. Ho fatto ripartire mio figlio per incontrarli e, seppure con qualche gioco di fantasia, i personaggi e le situazioni narrate sono tutte vere.
Qual è il messaggio che vuoi lanciare.
Te lo dico alla Don Milani: “I care”, mi interessa, me ne prendo cura, nella speranza di poter condividere questo motto. Penso che i figli siano figli di tutti e che la genitorialità, cui siamo chiamati noi adulti, non si possa giocare solo dentro le mura domestiche. Riconoscersi negli altri – il libro è scritto in prima persona proprio per incentivare l’identificazione -, fare della memoria uno strumento di vita, ci può davvero rendere liberi. So di essere una piccola persona, ma credo che non si debba delegare la realizzazione dei nostri desideri. Sono convinta che ognuno, anche il più piccolo dei piccoli, possa contribuire.
Quando scrivi: penna o pc?
Da qualche anno adopero il pc, obiettivamente più pratico, ma mi trovo spesso a rimpiangere le centinaia di fogli scritti a mano degli anni passati, con le correzioni ovunque, l’odore dell’inchiostro che mi accompagnava anche nel sonno, le macchie di caffè e le orme delle zampette della mia cagnolina in attesa di coccole.
Cosa è per te la scrittura.
E’ una specie di esperienza onirica, che la mente lascia fluire senza opporre ostacoli, senza artifizi. Rappresenta il pormi onestamente di fronte a me stessa e agli altri, in un dialogo a sorpresa e per questo eccitante. La scrittura è la mia “pillola della felicità”, un desiderio e un’urgenza irrefrenabili a cui mi abbandono. Piango, sorrido con i personaggi che si muovono attorno a me; li vedo, li annuso attraverso quello che la penna sembra scrivere da sola. E’ buffo, ma spesso, rileggendo le mie parole, mi chiedo: “E questa come mi è venuta?”… e capisco e realizzo che la scrittura è anche uno strumento di conoscenza, inizialmente di me stessa e poi degli altri, poiché ha il merito di accendere quel cerchio magico che è la comunicazione.
Il tuo prossimo progetto letterario?
C’è già un manoscritto e un primo editing: un progetto su una violenza psicologica e nasce da una mia convinzione e cioè che le nostre azioni ci sopravvivono e influenzano la vita degli altri.
Cosa è che ti piace di Livorno.
Il suo profumo, i colori sempre diversi del suo cielo che sa parlare all’anima; il vento che sa abbracciare e schiaffeggiare. Gli angolini solitari di fronte al mare e l’improvviso “O te?!…” di un vecchio amico che senza perder tempo scambia la sua e la tua ricerca di silenzio con una bella chiacchierata e due risate.
Cosa cambieresti.
L’ostinazione di chi denigra la nostra città, il disinteresse e la trascuratezza verso ciò che potrebbe essere un vero tesoro. Talvolta mi sembra che la distruzione di un tempo abbia cosparso tutto di cenere, eppure sotto questa cenere brillano tante belle menti e tanti cuori. Cambierei l’arrendevolezza di alcuni con l’amore condiviso per una città che ha tanto da dare: storia, arte, natura… un po’ naif e un po’ ruffiana, ci fa l’occhiolino e non ce ne accorgiamo.
Il tuo libro verrà presentato nell’ambito di una delle più importanti manifestazioni labroniche, Effetto Venezia: invita i nostri lettori a diventare il tuo pubblico.
La cosa mi emoziona non poco… porterò con me, come sempre, i bimbi di Roccatederighi e idealmente tante piume del barbagianni per ognuno di noi. Al termine del nostro incontro, spero che ci sentiremo tutti amici come i protagonisti del libro. Avremo trascorso una serata insieme e sarà piacevole abbracciarci quando ci incontreremo di nuovo per strada.
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