BuongiornoLivorno: i bacini di carenaggio possono convivere con l’edilizia?

Il rapporto città-porto rientra a pieno titolo nel dibattito politico cittadino. Il cambiamento dello scenario socio economico, ad ogni livello (da quello locale a quello mondiale, con una nuova definizione di distretti e aree produttive), è stato pensato dapprima in chiave immobiliare; ora si rivedono le scelte precedentemente compiute dalla politica locale, tentando di riorganizzare un corso di vita in chiave di miglioramento ambientale e piena occupazione. Livorno ha dato al sistema nazionale un contributo produttivo fondamentale negli ambiti dell’energia, della chimica e della metalmeccanica: oggi quelle produzioni sono più economiche in altre aree geografiche, e così Livorno decade.

Rivendichiamo la piena occupazione; vogliamo che la competitività si traduca in spinte alla specializzazione del lavoro che non creino necessariamente esclusioni e fallimenti di intere categorie di abitanti. In questa ottica sarà importante la formazione a tutti i livelli, così come l’avvio – già in corso – di progetti di vera partecipazione della cittadinanza a iniziative che possano dare un nuovo corso alla città, valutando sotto più aspetti il futuro prossimo.

Recentemente si è acceso il dibattito sul ruolo che Livorno potrebbe svolgere nella rete logistica dei porti, considerando tutte le variabili più o meno indipendenti e relative all’oggetto della discussione. Purtroppo abbiamo ereditato la vecchia logica del governo locale, che ha spinto verso l’economia dell’edilizia; cosicché oggi ci troviamo nel bel mezzo di una crisi, tanto profonda quanto prevedibile, che ha trasformato tale economia in una diseconomia. Questa situazione ci porta ancora una volta a considerare forme innovative per rilanciare l’economia cittadina: per Livorno il destino del porto torna a essere prioritario. Tra container, merci di ogni tipo, passeggeri e cantieristica degli yacht è inevitabile tornare a parlare di riparazioni navali, anche perché l’intero capitolo carenaggio è stato completamente abbandonato, e questo nonostante il bacino in muratura – senza contare quello galleggiante – abbia una capienza adatta alle grandi navi.

Nella logica di creare, tramite la nuova Darsena Europa, accosti portuali per navi di grandissime dimensioni, come le superpetroliere e le più grandi navi portacontainer (dette anche PostPanamax o OverPanamax, in quanto la loro stazza non ne permette il transito nelle chiuse del canale di Panama), appare incongruente non rilanciare il ripristino del bacino in muratura. La sfida è quella di far ripartire i lavori di riparazione, ispezione e certificazione delle flotte in transito nel Mediterraneo ma avvalendosi di tutte quelle nuove tecnologie che hanno un impatto ambientale infinitamente minore.

Livorno, quindi, torna a considerare un piano di lavoro, collegato agli sviluppi internazionali dell’economia, che riporti il comparto immobiliare tradizionale (a questo proposito, e in questo ambito, è importante collegarsi alla green economy) al suo naturale livello: quello locale, in cui la ricchezza indotta non è un attivatore economico ma solo in rapporto simbiotico con i cicli economici. Se vogliamo arrivare ad agganciare l’economia della logistica del mare, perciò, dobbiamo porci alcune domande.

Il carenaggio, nelle sue differenti possibilità – tra riparazioni e ispezioni – può a questo punto convivere con la parte edilizia realizzata a Porta a Mare?

E ancora, procedendo per punti:

Chi ad oggi, nelle aree sottratte alla destinazione industriale e divenute edificabili, ha la disponibilità di completare tutte le volumetrie, vorrà portare a termine le realizzazioni o no?

Quali tecnologie, disponibili nella ragionevole economicità dei lavori del carenaggio, possono permettere contemporaneamente l’uso civile di Porta a Mare?

Il nuovo bando di assegnazione dei bacini, pubblicato dall’Autorità Portuale, va considerato come limite massimo rispetto alla disponibilità a svolgere certe tipologie di lavoro o è una scelta politica? Nel caso tale bando voglia stabilire limiti di stazza per ridurre eventuali impatti nelle fasi di lavorazione (come rumore, polveri, trasporti di elementi danneggiati e altro), che se ne dia dimostrazione con una scheda tecnica dei lavori, delle tecnologie e dei metodi di lavoro ammessi in un contesto comunque prossimo alle aree urbane. Infine vorremmo capire come l’Autorità Portuale voglia gestire la riserva che si rimette all’ingresso di navi con larghezze superiori ai 30 metri. Esistono casi derogabili? E, se sì, quali sarebbero?

 Gruppo Lavoro #BuongiornoLivorno

 

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