Trovato senza vita in carcere: aveva sniffato gas da un fornellino. Solimano: "La morte oltre le mura"

di gniccolini

LIVORNO – Tragedia all’interno del carcere delle Sughere di Livorno. Un detenuto marocchino di 37 anni è stato trovato morto nel bagno cella che divideva insieme ad altri tre compagni. Con tutta probabilità lo straniero, tossicodipendente, aveva inalato gas con una busta in testa da un fornellino da campeggio, pratica spesso usata dai dipendenti di droga per avere un effetto simile alle sostanze stupefacenti. Metodo però alquanto pericoloso  visto che chi ne fa uso utilizza una busta di plastica per respirare il gas che altrimenti andrebbe disperso nell’ambiente.
L’allarme è scattato intorno alla mezzanotte di ieri. A chiamare le guardie penitenziarie sono stati proprio i suoi compagni di cella che hanno iniziato a sentire uno strano odore di gas provenire dal bagno e, non ricevendo più risposte dall’interno, hanno subito allertato i poliziotti di guardia.
Subito intervenuto sul posto il medico che, insieme ai sanitari, ha tentato di tutto per rianimarlo e salvargli la vita. A niente però sono serviti i soccorsi. Sul posto il pm di turno, Antonella Tenerani, ha mandato un medico legale per indagare le cause delle morte. Ieri gli inquirenti hanno interrogato i compagni di cella e gli agenti penitenziari per ricostruire gli ultimi momenti di vita del detenuto. Nella giornata di oggi è atteso in carcere Marco Solimano, garante dei dritti dei detenuti.

L’INTERVENTO DI MARCO SOLIMANO: LA MORTE OLTRE LE MURA

Aveva 37 anni il detenuto, di nazionalità marocchina, che domenica notte è morto all’interno della Casa Circondariale di Livorno.

È accaduto in piena notte in una delle celle sovraffollate della sez.transito, è accaduto in silenzio, chissà in quale angolo di una cella piccolissima che accoglie quattro persone, stivate in meno di dieci metri quadrati, dove non esiste spazio neanche all’intimità dei propri pensieri.I periti e le indagini della Autorità Giudiziaria ci diranno delle cause o delle concause che hanno determinato la morte.

Abbiamo bisogno di sapere di cosa si muore in carcere, ma soprattutto abbiamo il dovere di capire perché si muore.

Il nome di quest’uomo allungherà la lista dei decessi in carcere, oltre 2000 negli ultimi dieci anni, una ecatombe inaccettabile per la coscienza civile di un Paese democratico.

Il carcere dei nostri tempi è sempre più luogo dell’assenza: assenza di diritti, assenza di umanità, assenza di prospettive, assenza di legalità. Poco importa se la Corte Europea di Giustizia condanna il nostro Paese per la condizione inaccettabile in cui versano le nostre carceri, per la costante e reiterata violazione di diritti umani inalienabili. Questo carcere è sempre più il paradigma della nostra realtà civile e sociale, luogo in cui si ritiene di poter riversare le più profonde e drammatiche contraddizioni che attraversano i territori, vera e propria discarica sociale ove nascondere e comprimere vecchie e nuove marginalità. In questa situazione di devastazione sembra illusorio il richiamo all’art.27 della Costituzione, quasi inconcludente un ragionamento profondo e positivo sul senso della pena e soprattutto di quale pena. C’è una responsabilità non emendabile delle Istituzioni del nostro Paese e del sistema dei partiti per non aver portato a compimento un processo di riforma fortemente sollecitato anche dal Capo dello Stato.

Intanto in carcere si continua a morire e a sopravvivere .Quel muro alto e spesso insormontabile ci impedisce di vedere e coglierei la parcellizzazione di tante esistenze in faticosa ricerca di unità ed identità. Ma il muro più resistente ed impenetrabile è quello sedimentato nelle nostre teste, il muro del pregiudizio, dello stigma sociale, di una concezione punitiva e vendicativa della pena. Quel muro che spesso nega la straordinaria energia del cambiamento e fotografa la vita di un individuo unicamente al momento in cui commette un reato, vanificando purtroppo l’importante lavoro del personale interno, del volontariato e di quanti pensano che un’altra idea di carcere è possibile.

Perché in carcere succede di morire per paura, per solitudine, per assoluta incapacità nella costruzione di una prospettiva di vita possibile, per abbandono, per fragilità, perché non ce la fai a resistere alla dimensione totalizzante di questa realtà e cerchi qualcosa che ti allontani da questo terribile confronto. Nonostante questa ulteriore tragedia non bisogna fermarsi, anzi, da oggi abbiamo un motivo in più per continuare nel nostro impegno.

 

Marco Solimano

Garante dei diritti dei detenuti Comune di Livorno

Livorno, 24 settembre 2013

 

Riproduzione riservata ©