“I segni dell’uomo”, dall’archeologia ai giorni nostri

di Michele Garofalo

LIVORNO – Nella suggestiva cornice del Museo di Storia Naturale del Mediterraneo si è oggi tenuta la presentazione dell’ultimo capitolo della collana Narducci “I segni dell’uomo”. Dopo il discreto riscontro ottenuto dalle prime due pubblicazioni, incentrate rispettivamente sull’archeologia della provincia di Livorno e sulle testimonianze medioevali del territorio, l’ultima fatica di questa volenterosa casa editrice oltrepassa il mero ambito dell’archeologia per abbracciare una prospettiva corale, in modo da fornire un approccio quanto più possibile esaustivo e scorrevole allo studio dell’affascinante retroterra storico e sociale dell’area mediterranea toscana e in particolar modo della zona costiera livornese.

Non solo una sapiente trattazione monografica sui siti e sui reperti più interessanti del territorio, quindi, ma un excursus completo su una grande molteplicità di argomenti, che spazia dalle specificità naturali (particolarità biologiche del mare) ad uno studio comparato dei culti religiosi che hanno plasmato l’evoluzione culturale degli insediamenti umani della zona (folklore, superstizioni, culti pagani e cristiani locali), il tutto contestualizzato in un intervallo cronologico che va dal neolitico al tardo medioevo. Un progetto ambizioso e indiscutibilmente riuscito, che ha come unici fili conduttori il mare e la navigazione costiera, sviscerati in tutte le loro varie declinazioni: dalle conoscenze relative ai porti e agli approdi antichi, all’ampia costellazione di attività produttive e commerciali che ha lastricato la vita dei popoli dell’arcipelago livornese, senza tralasciare le sorprendenti variazioni morfologiche delle linee di costa intercorse nell’arco dei secoli.

Nonostante la corposa mole di documentazione, la lettura risulta assolutamente gradevole, complici un ricco corredo di splendide immagini naturalistiche e un linguaggio limpido e conciso che ammicca ad un pubblico di neofiti o semplici curiosi, pur non rinunciando alla completezza e al rigore scientifico che si addicono ad un testo del genere. Come ha sottolineato la docente Marinella Pasquinucci, curatrice del progetto “il libro non è rivolto espressamente ad un target generalista, ma anche ai residenti locali desiderosi di esplorare a fondo il contesto in cui vivono e a quegli studiosi della materia interessati ai più recenti rinvenimenti archeologici sul suolo toscano”.

Secondo il vice presidente della Provincia con delega alla cultura Fausto Bonsignori, quest’ultima pubblicazione targata Narducci “rientra in un progetto provinciale di più ampio respiro mirato al rilanciamento della cultura e alla valorizzazione artistica del territorio, in un delicato periodo di crisi in cui il trend nazionale consiste nel trascurare completamente questo aspetto” e poi aggiunge “lo stesso Museo di Storia Naturale di Livorno non deve essere percepito come un semplice scrigno straripante di cose preziose, ma come un centro di produzione di cultura in collegamento diretto con gli enti formativi”
A nobilitare ulteriormente una realizzazione già di per sè intrigante e meritoria, concorrono due pagine curate da Alessandro Fo, rinomato latinista, docente dell’università di Siena nonchè nipote del celebre commediografo Dario. Si tratta della traduzione di alcuni passi del diario di viaggio in forma di poesia di Rutilio Namaziano, un nobile gallo-romano che dall’urbe fa ritorno alle terre avite devastate dai visigoti. Colpisce moltissimo il passaggio in cui – sgomento e disilluso – il nostro eroe commenta la contemplazione dei miseri resti di Populonia: “immensi spalti ha consunto il tempo vorace./restano solo tracce tra crolli e rovine di muri,/ giacciono tetti sepolti in vasti ruderi./Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino:/ecco che possono anche le città morire” Immalinconisce pensare alla caducità di tutte le civiltà umane, ma finchè operazioni letterarie e archeologiche come questa continueranno a godere di supporto, forse quelle distese di “rovine” e di “ruderi” (e con esse la cultura) saranno preservati dalla morte.

 

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