Romano e le sue tante macchine da scrivere. La storia dell’ultimo riparatore (in Italia)

di gniccolini

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LIVORNO  – Dietro ogni macchina da scrivere si nasconde una storia di vita, un sorriso spedito, una lacrima caduta, un addio mai scritto. Lo sa bene Romano Falleni, 82 anni, dall’età di 18 dietro inchiostri, tasti e bobine, lui, che di macchine ne avrà aggiustate migliaia e migliaia in 64 anni di attività. Dalle sue mani sono passate le mitiche Olivetti Lettera 22, 32 o 44, le Everest modello 90, le tedesche Olympia o Continental, le svedesi Facit o l’americana Remington. Tutte smontate, riparate e riconsegnata nelle mani di proprietari che ringraziavano felici e davano in cambio poche lire prima, e pochi euro ora. Romano cammina appoggiandosi a un ombrello, in mano il Corriere della Sera e davanti agli occhi uno scheletro di macchina da scrivere che sta finendo di riparare nel suo negozio di via Poggiali tra corso Amedeo e piazza Magenta.
La “tana” dell’uomo che sussurra alle macchine. Una vera e propria “tana” dove Romano, ormai in pensione da tempo, passa le giornate insieme alla moglie Edda conosciuta agli inizi degli anni ’60 durante una serata ai Bagni Roma dove eleggevano la miss degli stabilimenti balneari. “Ero lì insieme ad alcuni amici e lei era seduta con altre amiche ad un tavolo vicino – ricorda Romano guardando come uno sciamano tra le viscere delle proprie macchine per scrivere -volevo a tutti i costi ballare con lei. Quella sera ci ballai e poi…ci ho ballato tutta la vita”.
E’ proprio in questa piccola bottega, una sorta di antro dello stregone, che Falleni si rinchiude e “sussurra” alle “sue” macchine. “Qui sopra – dice l’82enne indicando un piccolo soppalco – mi siedo e riparo. Tutti i tipi di macchine.  Ho anche tutte le bobine pronte per qualsiasi tipo di modello. Me le sono messe da parte capendo in anticipo che prima o poi non le avrebbero più prodotte. Così chi mi dovesse portare anche una Remington, ecco che tiro fuori il giusto nastro per farla tornare a cantare“. Tutto intorno è un vero e proprio museo che agli occhi di chi è abituato a facebook, twitter  Ipad sembra di entrare in un film degli anni ’50. Tasti, lettere, carta, bobine, rulli. Sono dappertutto, in ogni angolo meno probabile ecco stivata una macchina da scrivere. “Se potessero parlare…”, sussurra Romano.
Ridare la voce a pezzi di ferro. “Aggiustare le macchine da scrivere è un po’ ridare la voce a una cosa inanimata”, spiega Romano. “Ormai nessuno produce più questi strumenti, tutto è soppiantato dalla tecnologia, ma io lavoro ancora tanto. Ci sono molti che vengono qui da me e mi portano vecchie macchine trovate in soffitta, in cantina o lasciate alla polvere in chissà quale armadio. Vengono qui e io le aggiusto tutte. Per me è un modo di tenermi vivo. Grazie a questo lavoro ho conosciuto un sacco di persone, tante storie”.
L’ultimo dei manutentori. Romano, (“mi chiamo così perché nacqui il 21 aprile del ’32 e la mia balia, in pieno periodo fascista, disse a mia mamma che quel giorno era il natale di Roma) è l’ultimo dei manutentori di macchine da scrivere in città e forse uno dei pochissimi rimasti anche in Italia. “Che ne sappia io – spiega Falleni – ce n’è solo un altro a Milano che ha circa la mia età ma non ha un negozio. Lo fa a casa a scappatempo. Ormai è un mestiere che, come le cose che aggiusto, andrà a scomparire. Ma sempre più spesso giovani sposi vengono qui a chiedermi di rimettere a posto la macchina del nonno magari per metterla all’ingresso di casa. Fa arredamento, fa…come dite voi? Vintage? E io riparo”.
Gli inizi, e quel prete che cantava bandiera rossa. Aveva appena 18 anni quando bussò alla bottega del Bizzi (“una specie di garage ripulito”) in via Mayer per trovare un lavoro. “Era da poco finita la guerra -ricorda Falleni – ed eravamo tornati a Livorno dopo che fummo sfollati a Vico Pisano. Dormivamo in un frantoio con i miei genitori e con 50 tra fratelli e cugini. Lì conobbi don Balestri il prete che poi mi cresimò alla chiesa del Soccorso una volta finito l’incubo della guerra. Mi ricordo che fu il primo a correre da noi gridando che i tedeschi stavano scappando e stavano arrivando gli americani. Era felicissimo e iniziò a cantare a squarciagola bandiera rossa”. I ricordi corrono veloci come le sue dita su quei tasti che sta provando dopo averli oliati.
“Da Bizzi iniziai come fattorino -racconta Falleni – e da bravo sportivo, correvo per una squadra di ciclismo la Veloce Venezia, facevo le consegne in bicicletta e portavo le macchine riparate a destinazione. Andavo spesso a portarle alla caserma dei carabinieri ai Tre Ponti. Ma fare il ragazzo di bottega non mi bastava. Volevo di più. Volevo imparare il mestiere. E così iniziarono a spiegarmi come si smontano, come si accomodano, come si fanno tornare in forma. In poco tempo mi dissero che ero diventato bravino e poco dopo mi capitò una prima vero occasione di lavoro a Bologna”.
Bologna, Ravenna, Milano, l’Australia sfiorata, e quei 10 pasti premio. La carriera di Falleni corse veloce e in ascesa proprio grazie alla sua intraprendenza. Bologna lo masticò come un ragazzino e lo digerì uomo. “Lavorai per 4 anni alla Olivetti e diventai capo officina. Così ebbero bisogno di me a Ravenna alla Ict una ditta in concorrenza con la nascente Ibm che si occupava di calcolatori e macchine per ufficio. Andai in Romagna. E durante una cena conobbi un ragazzino più giovane di me che mi offrì di sostituirlo a Milano dai Fratelli Crippa, una ditta che fatturava tutto il venduto del caffè Hag italiano. Accettai e mi trasferii in Lombardia.  Guadagnavo tanto, circa 90 mila lire al mese, un’infinità. I calcolatori di quei tempi erano dei veri e propri armadi, per aggiustarli ci dovevi entrare dentro. Diventai davvero bravo e mi offrirono di andare in Australia. Ma a quei tempi l’Australia era veramente lontana. Troppo lontana. Non me la sentii e rimasi a Milano. Una volta mi ricordo che passai una giornata dentro uno di questi “armadi” perché si era guastato. Nessuno, nemmeno gli ingegneri chiamati dall’Inghilterra, riuscirono a capirci qualcosa. A fine giornata quando stavo per alzare bandiera bianca mi ricordai un trucco che mi insegnò Bizzi. Risolsi tutto con la carta di Spagna, una sottile carta di ottone che in un amen fece ripartire il calcolatore. Il capo fu talmente grato che in premio mi dette 10 pasti da consumare nel migliore ristorante di Milano”.
Il ritorno a Livorno e il primo negozio. Le ferie decise di passarle a Livorno. E’ qui che conobbe Edda ai Bagni Roma ed è qui che decise di aprire il suo primo negozio. “Era il 1965, aprimmo in corso Amedeo e ci siamo stati per 43 anni. Qui ho servito mezza Livorno. Riparavo macchine dello Stanic, della Ansaldo, e di tanti professionisti o dattilografe a cui si guastavano le macchine. A quei tempi c’erano anche dei corsi di dattilografia e le signorine più brave riuscivano a battere oltre 310 caratteri al minuto. Sembrava che quelle macchine diventassero elettriche da quanto scorrevano via veloci sotto quelle dita. Insegnavano di usare la mano sinistra per tutte le lettere che erano alla sinistra della “H” e la destra per tutte quelle alla sua destra. Un piccolo trucco – spiega Falleni – che funziona sempre”.
La bottega di via Poggiali. “E’ ormai 8 anni che siamo qui in via Poggiali –  e non mi stanco mai di fare questo mestiere. Ogni giorno è diverso, ogni macchina è una sfida, ogni macchina è un volto nuovo”. Romano dà un occhio all’immagine della Madonna che ha appeso alla sua sinistra accanto a lui. Sulla scrivania, illuminata da una luce gialla e calda, un “paziente” da curare e da far tornare a “cantare”. Lo guarda, sembra soddisfatto. L’ultimo dei riparatori annuisce dietro ai suoi occhiali.
La porta si chiude. Dentro tanti tasti, mille storie, una vita.

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