Sull’episodio di don Luciano accertiamo bene quanto è accaduto

Non è per dovere d’ufficio (o di omonimia) che esprimo solidarietà e partecipazione al Parroco di Coteto, ma c’è qualcosa nell’articolo sull’accaduto che non mi quadra. Mi riferisco alla attribuzione dell’inqualificabile episodio a “nomadi” e “Rom”. Per quel poco che conosco di quel mondo il fatto mi sembra inverosimile. Non voglio essere netto nel non accusare i Rom come chi li accusa con certezza identificando addirittura il gruppo di appartenenza. La cosa che più mi sconcerta nella descrizione del fatto è la donna a seni nudi. Chi appartiene ai mondi Rom, sia musulmani come i kosovari, ortodossi come i rumeni, o evangelici mantiene costumi molto pudichi. Per fare un esempio mai si troverà in un campo o intorno ad una carovana della biancheria intima stesa ad asciugare perché viene tenuta nascosta o coperta da altri indumenti. Le donne portano gonne lunghe con le calze, anche d’estate. Tali comportamenti sono così radicati nella loro cultura che è impensabile immaginare una trasgressione così descritta fosse anche sotto gli effetti della birra.
So bene quanto queste persone siano di disturbo nella opinione corrente, sono insistenti, inopportuni, capaci di imbrogliare, suggestionare ma è anche vero che questo gli ha permesso di sopravvivere per millenni in mezzo ad altre culture nonostante la costante ostilità che li ha costretti a diventare nomadi perché cacciati, fino ad arrivare al culmine del Porajmos.
Credo che prima di categorizzare le persone coinvolte ed innescare un ennesimo senso di ripulsa generalizzata sarebbe meglio arrivare ad un accertamento, poi si condanneranno le singole persone responsabili, ma non il gruppo di appartenenza.

Don Luciano Cantini

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